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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

(K. Marx)

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Solidarietà agli operai licenziati da fiat Pomigliano. I loro diritti sono diritti di tutti i lavoratori!

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Dopo la chiusura per 6 mesi dello stabilimento di Pomigliano, nel 2007, la direzione Fiat istituisce un centro logistico a Nola. Qui, in linea con la tradizione del Gruppo dei “reparti confino”, esilia 316 lavoratori, scelti in gran parte fra gli operai più attivi sindacalmente. L’emarginazione, la cassa integrazione a zero ore, l’isolamento sono stati la causa principale di 3 suicidi e di diversi gesti di autolesionismo fra gli operai confinati a Nola. Il rapporto fra disperazione e suicidio e cassa integrazione ha trovato in passato una triste verifica con i 150 suicidi degli anni 80 fra i cassaintegrati Fiat. Il 20 maggio 2014, in seguito al suicidio dell’attivista Maria Baratto, alcuni operai hanno inscenato una protesta: un finto suicidio nel piazzale antistante lo stabilimento. In questa rappresentazione un fantoccio con l’immagine di Marchionne penzolava con una corda al collo e con un cartello che recitava: “mi ammazzo, perdonatemi per tutti quegli operai che si sono suicidati”. La Fiat individua come organizzatori del finto suicidio 5 operai e provvede a licenziarli. La motivazione è quella “dell’intollerabile incitamento alla violenza”, della “palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro”, del danno “morale all’azienda e al suo vertice societario”. Il ricorso dei 5 operai è stato respinto dal giudice del lavoro e dal tribunale del riesame sulla base di un presunto “obbligo di fedeltà” dei lavoratori nei confronti della propria azienda. Il comando dell’azienda in questo modo viene esteso (al di là delle stesse intenzioni degli articoli del Codice civile) al di fuori del luogo e del tempo di lavoro. I dipendenti vengono privati del diritto di critica e di drammatizzazione della propria condizione di sottomissione sempre più totale ai voleri e alle leggi del profitto aziendale. Un altro passo in direzione dell’asservimento completo delle nostre vite alle logiche di un sistema che avanza verso la barbarie.

Il 20 settembre la Corte di Appello di Napoli dovrà pronunciarsi con una sentenza definitiva. La rilevanza della questione non può vederci spettatori passivi. L’evoluzione in senso repressivo dei rapporti di lavoro riguarda tutti noi.

Il 16 settembre a Napoli si terrà un incontro pubblico fra giuristi, lavoratori, sindacalisti, lavoratori, cittadini, per sostenere questa battaglia. Saranno presenti anche i firmatari dell’appello che riportiamo qui sotto. Seguite l’iniziativa su: nolicenziamentiopinione.word-press.com

La redazione.

 

Appello per la difesa della libertà di opinione dei lavoratori

Nell’indifferenza del paese in questi ultimi decenni il diritto del lavoro italiano è radicalmente mutato. Si moltiplicano i casi di lavoratori licenziati per aver espresso pubblicamente opinioni critiche alle scelte delle proprie aziende, anche fuori dall’orario e dalle sedi di lavoro. Licenziamenti che sono confermati nei diversi gradi di giudizio con motivazioni riconducibili all’obbligo primario di fedeltà alla propria azienda. Eppure l’articolo 2105 del codice civile dispone solo che il lavoratore non tratti affari in concorrenza con l'imprenditore, né divulghi notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o ne faccia un uso che possa recargli danno. Quest’articolo è invece fatto valere estensivamente, rubricando anche la semplice espressione di una critica come atto illegittimo. Questo principio, insieme a quello della continenza nell’esercizio della critica, sono sempre più spesso usati per limitare il dissenso e come strumento di deterrenza all’iniziativa sindacale. La vicenda dei lavoratori della FCA di Pomigliano, licenziati per aver inscenato al di fuori del luogo e dell’orario di lavoro il suicidio di un Marchionne angustiato per i lavoratori che si sono tolti la vita dopo il licenziamento, proprio per la crudezza dei toni, mette drammaticamente in chiaro quanto sta accadendo nel nostro paese. Le recenti riforme del mondo del lavoro hanno modificato le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro, indebolendo le tutele dei primi a favore dei secondi. Allo stesso modo è cambiato radicalmente anche il diritto del lavoro. Con esiti che rischiano di incidere sul più generale godimento dei diritti di espressione e di critica sanciti dall’articolo 21 della Costituzione, e di annullare le tutele di quell’autonomia e libertà di critica che sono i prerequisiti di qualsiasi relazione sindacale. Quanto sta accadendo non è solo il risultato di cambiamenti normativi, ma anche e forse soprattutto l’indice di una profonda involuzione culturale, se è vero che i giudici interpretano e adattano ai casi concreti i principi generali della fedeltà e della continenza. Interpretazioni sempre più ampie che stanno progressivamente cancellando ogni possibilità di dissenso da parte dei lavoratori, e delle organizzazioni sindacali, minacciando uno dei pilastri giuridici del sistema democratico del nostro paese.
A fronte di queste trasformazioni riteniamo sia urgente una presa di posizione di giuristi, professionisti del diritto, di sindacalisti e di lavoratori, di cittadini che inverta quella che ci sembra una regressione della cultura giuridica, politica e civile del nostro paese. Crediamo che non siano più rinviabili iniziative pubbliche a difesa dei diritti e del diritto dei lavoratori e intendiamo farci promotori, con tutti coloro che condividono il nostro allarme, a promuovere occasioni di confronto, dibattito e mobilitazione per promuovere più giusta ed equa cultura giuridica del lavoro a partire dalla revisione delle norme che regolano l’obbligo di fedeltà.
Per ulteriori adesioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

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