Contro gli assassini sul lavoro rivendichiamo il diritto alla vita!

I padroni ci fanno la guerra, gli economisti li giustificano, il palazzo se ne infischia: lottiamo insieme per sopravvivere

 Matteo aveva 19 anni, stava lavorando nella ditta di famiglia, in subappalto per Fincantieri a Monfalcone. E’ stato assassinato da un carico di cemento di 700 kg sotto gli occhi del padre e del fratello maggiore. Aveva una vita davanti, ma tutto si è fermato in giorno di primavera in un cantiere navale.

 Domani Matteo sarà solo un numero in più tra le vittime della guerra non dichiarata che in Italia da anni viene combattuta nei cantieri edili e navali, nelle fabbriche, nella campagne e in ogni altro luogo di sfruttamento.

 Qualche ora di sciopero, il cordoglio della politica e dei sindacati, i servizi dei telegiornali e poi il dimenticatoio, fino alla prossima morte eclatante. Tre vittime al giorno sono una media raccapricciante, eppure queste storie non fanno notizia se non in casi eccezionali.

Quando una “morte bianca” buca l’indifferenza generale, i padroni piangono le loro lacrime di coccodrillo, fazzoletto in una mano e portafoglio gonfio che gocciola sangue nell’altra. I sindacati tuonano invettive poderose e lasciano fare impotenti, chinano la testa perché il Dio del profitto non può essere messo in discussione, né la catena di subappalti al ribasso fermata.

 Non dobbiamo più accettare questo stillicidio. Noi vogliamo vivere, non morire di lavoro!

 Il diritto alla vita vogliamo riconquistarlo a scapito del profitto, ai danni del mito del lavoro ad ogni costo e in ogni condizione. Lavorare stanca e uccide, soprattutto in queste condizioni.

 Non abbiamo bisogno di nuove leggi sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, vogliamo più ispettori del lavoro. I soldi ci sono, ma vengono spesi per tagliare le tasse ai padroni, per riempire di telecamere nei nostri quartieri, sia mai che qualcuno imbratti un muro, per fare la guerra in Niger e in altre decine di paesi.

 Noi invece vogliamo ritmi umani di lavoro, in culo alla produttività e al profitto di cui ci lasciate le briciole. Il lavoro deve essere redistribuito, non si possono spremere le persone fino alla morte, fino a 70 anni, siano operai, impiegati o freelance.

 Dietro ai freddi calcoli, alle necessità di bilancio ci sono le nostre vite e vogliamo riprendercele.

 Sappiamo bene che niente di tutto questo ci verrà regalato! Vedremo le consuete lacrime a favor di telecamera e qualche giorno dopo assisteremo ai noti licenziamenti punitivi e alle denunce contro chi alza la testa, contro chi parla di sicurezza senza aver paura di manager e avvocati.

Dobbiamo riprenderci le nostre vite, i lavoratori dei cantieri con gli operai delle fabbriche, i disoccupati che si ammalano di depressione assieme agli studenti che muoiono nelle scuole che cadono a pezzi, chi lavora a cottimo davanti un computer convinto di essere un imprenditore di se stesso fianco a fianco delle vittime del caporalato in agricoltura.

Hanno detto che la classe operaia non esiste più eppure gli operai muoiono. Hanno raccontato di una scuola attrezzata con tablet e computer, eppure gli edifici scolastici sono fatiscenti e gli studenti si feriscono durante l’alternanza scuola-sfruttamento. Hanno descritto i laureati come imprenditori di se stessi eppure si consumano di fronte ai loro computer senza tutele e senza diritti.

 La sicurezza sul lavoro deve essere frutto delle decisioni operai, di chi lavora, di chi conosce i rischi che affronta ogni giorni e le inutilità della burocrazia.

 3 morti al giorno sono il frutto di una guerra combattuta in nome del profitto.

 Dobbiamo organizzarci e rispondere. Vogliamo vivere, non crepare di lavoro. La vita è fuori dalle vostre gabbie di sfruttamento e ce la riprenderemo!

 Lorenzo

Redazione Lotta Continua