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Dieci anni o poco meno all'insegna della riduzione di personale nella Pubblica amministrazione, è quanto emerso dal dossier che analizza, con il conto annuale del pubblico impiego (reperibile on line sul sito della Ragioneria di Stato), la spesa di personale e la distribuzione dei dipendenti tra i vari comparti.

A fine 2017 i dipendenti pubblici erano 3.243.435, dei quali circa 240 mila precari, insomma circa 250 mila in meno di pochissimi anni or sono. È evidente che anni di blocco delle assunzioni abbiano pesato non poco in comparti come quello statale o negli enti locali e in sanità, gli effetti sono a tutti palesi e ormai duraturi.

Ma se guardiamo invece la dinamica contrattuale capiamo che le differenze sono rilevanti da comparto a comparto e fare una media complessiva delle retribuzioni pubbliche sarebbe fuorviante perché andremmo ad occultare una realtà variegata con gli stipendi della scuola attestati mediamente a 28.400 euro lordi l'anno, cifra più o meno equivalente a quella degli enti locali mentre altri ruoli nella Pubblica amministrazione risultano decisamente inarrivabili con salari anche superiori a 100 mila euro annui ( Prefetti, ambasciatori, dirigenti )

Altra distinzione necessaria è quella tra i vari livelli, la spesa media fa un calcolo matematico che non permette di capire l'esistenza di redditi annui inferiori a 24 mila euro per tanti dipendenti degli enti locali privi di straordinari e indennità contrattuali.  Gli enti locali continuano ad essere il settore dove gli stipendi sono più bassi ma se confrontiamo lo stipendio di un infermiere, di un insegnante o di un medico italiano con la busta paga di colleghi in altri paesi europei (parliamo di dipendenti pubblici) si comprende quanto bassa sia la nostra retribuzione. Analogo discorso potremmo fare per il privato, un meccanico italiano guadagna il 30% in meno di un collega tedesco, idem per un operaio chimico o delle acciaierie.

La questione da porre con grande rilievo resta quella della crisi salariale, i salari pubblici e privati in Italia sono bassi, decisamente troppo bassi. E poi la crisi occupazionale nel pubblico impiego non è iniziata in tempi recenti ma ad inizio secolo quando la contrazione della spesa pubblica ha determinato sempre meno concorsi e il ricorso a tanti contratti precari.  Il dossier è lungo e di non facile lettura, sulle pagine de Il Sole 24 Ore si mette in relazione la perdita di posti di lavoro con dinamiche salariali invece in aumento. Ma se leggiamo bene i dati si capisce che questi aumenti sono comunque contenuti e circoscritti a certe situazioni e soprattutto, dirigenti a parte, gli stipendi italiani continuano a perdere terreno, anno dopo anno, rispetto a quelli europei.

Gran parte dei dipendenti pubblici sono in 3 grandi comparti ossia: Scuola (34,7%), Sanità (19,9%) e Regioni - autonomie locali (13,4%), che tutti insieme se sommati ai dipendenti della Difesa arrivano all'83% di tutto il pubblico impiego. Se poi guardiamo agli enti locali, in 10 anni abbiamo perso quasi 90 mila dipendenti, nell'università quasi 25 mila, nella scuola oltre 5 mila (ma dopo gli ultimi anni nei quali sono stati assunti migliaia di precari e vincitori di concorsi).

In percentuale, il personale perduto in 10 anni è pari al 5,6% e qualora volessimo confrontare la spesa di personale della Pubblica amministrazione in Italia con quanto spendono paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna scopriremmo che la spesa italiana è decisamente più bassa come anche il numero dei dipendenti pubblici. Quindi aumenti salariali irrisori, perdita di migliaia di posti di lavoro, sacche di precarietà ancora esistenti e a livelli preoccupanti e una Pubblica amministrazione in crisi, è questa la impietosa fotografia del dossier.

Federico Giusti – LC Pisa