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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Una riflessione sullo sciopero generale di ottobre indetto dal sindacalismo di base.

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Anche nel 2019, come nel 2018, l'autunno non sarà caldo come un tempo, anche se questo ottobre vedrà lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, non firmatario dell'accordo sulla rappresentanza.

Se quella firma ha rappresentato una scelta certamente sbagliata e controproducente, per il sindacalismo conflittuale restare ancorati a questo punto rappresenta un grave errore. Proviamo a riflettere: quanti sono i lavoratori che ritengono quella firma dirimente? Veramente pochi.

Piuttosto i lavoratori e le lavoratrici italiane hanno dimostrato nel tempo di preferire maggiore concretezza rispetto a posizioni coerenti, di nicchia, ma poco comprensibili per i loro bisogni. E diciamo questo non perché pensiamo giusta la firma dell'accordo, però ritenerla dirimente per ogni iniziativa futura corre grande differenza.

Pensiamo che se così non fosse i sindacati conflittuali dovrebbero avere consensi assai maggiori e per questo non sarebbero in guerra tra di loro per poi appropriarsi di delegati e iscritti non firmatari e per questo esclusi dalle elezioni (alcuni sindacati firmatari dell'accordo sulla rappresentanza, potendo presentare liste Rsu nel privato, hanno favorito la migrazione di delegati e iscritti da altri sindacati).

Tuttavia questi processi non hanno certo alimentato il conflitto, favorito nuovi processi aggregativi o modificato il modus operandi sindacale nei luoghi di lavoro, al contrario la crescita del sindacalismo di base è al di sotto delle aspettative. Suggeriamo di guardare alla quantità degli iscritti, certificati e non, di analizzare il numero delle liste presentate alle Rsu del pubblico impiego, nonché le percentuali dei voti ricevuti.

Non saremo noi oggi a lanciare appelli unitari al sindacalismo di base, come si è fatto nel corso del tempo senza avere spazio e ascolto. Ancora una volta ci auguriamo che prevalga la volontà di ricomposizione sulle logiche da bottega o sulle culture divisive, che per altro scaturiscono dagli anni Settanta con dinamiche trasferite dai gruppi politici a quelli sindacali.

Ci sono stati scioperi del sindacalismo di base riusciti, infatti nel settore dei trasporti i sindacati confederali complici e rappresentativi, hanno presentato una piattaforma rivendicativa finalizzata anche a impedire gli scioperi di piccole sigle. Una collaborazione con i padroni che occulta la perdita di consensi e anche le numerose adesioni alle iniziative del sindacalismo di base.

Ricordiamo che ci son stati scioperi, come nella logistica, assai riusciti, fin capaci di bloccare cancelli e produzioni. Sappiamo che l'arma dello sciopero è ancora di straordinaria efficacia soprattutto dove lo strumento di rottura radicale è più forte.

Sappiamo tutti che lo sciopero generale dell'ottobre 2018 è stato un insuccesso (diciamocelo al di là delle cifre farlocche diffuse nei comunicati stampa) e quindi reiterarlo con le stesse modalità (indizione a inizio luglio senza alcuna discussione reale anche nelle organizzazioni promotrici, eccetto forse il solo Si cobas) è un segnale per noi assolutamente preoccupante.

Nel momento in cui i sondaggi davano la maggioranza quasi assoluta alla destra, nel momento in cui il Governo giallo verde era ancora in piedi e stava discutendo della manovra economica, Si cobas, Cub, Sgb e Usi hanno proclamato lo sciopero generale rituale, che poi sciopero generale non sarà visti i numeri dei partecipanti e gli innumerevoli settori che sappiamo non parteciperanno.

Ha quindi senso parlare di sciopero generale quando il 95 per cento della forza lavoro non partecipa? Ha senso organizzare manifestazioni regionali con 2 mila partecipanti, se va bene, inclusi gli studenti solidali? Domandiamoci se non siamo davanti alla solita ritualità dello sciopero generale lanciato per visibilità delle singole organizzazioni piuttosto che favorire processi partecipativi e aggregativi alla insegna della conflittualità?

Ci domandiamo che senso può avere proporre uno sciopero nel mese di luglio per ottobre, potendo iniziare a lavorarci da metà settembre? Al di là della solita generica piattaforma, ci sono argomenti forti e interessi materiali sui quali aggregare? sui quali costruire la mobilitazione? Oppure l'adesione allo sciopero finisce per assumere un carattere fideistico destinato alla lunga all'insuccesso? Per essere chiari: sono domande che rivolgiamo prima a noi stessi e poi alle forze sindacali che hanno promosso lo sciopero.

Precisiamo che la Redazione del nostro giornale non intende sovrapporsi e men che mai sostituirsi ai sindacati e alle organizzazioni politiche, ma non possiamo esimerci dal dire che girando per i luoghi di lavoro, parlando con tanti operai, disoccupati e precari, si capisce che le modalità con le quali da anni vengono indetti questi scioperi generali sono improduttive e finiscono più con il dividere i lavoratori che unirli.

Abbiamo letto che alcuni delegati sindacali avevano proposto percorsi multipli, come anche giornate di mobilitazione a tema. Ad esempio due ore di sciopero contro infortuni e morti sul lavoro ci sembrerebbero proposte più efficaci e dialoganti, capaci anche di rompere schemi precostituiti mettendo in difficoltà i sindacati confederali complici della controparte.

Ma sia ben chiaro, e vogliamo ribadirlo, che non stiamo a parteggiare per una ipotesi piuttosto che un'altra. Rispetto agli scenari dei prossimi mesi sarebbe opportuno rivedere il modus operandi tradizionale, giusto per non ritrovarci in piazza sempre gli stessi. Rinnovando la distanza dal paese reale, quello che magari è iscritto alla Cgil ma vota la Lega e pensa che gli immigrati siano dei privilegiati.

Ci sarebbe bisogno di comprendere gli scenari della manovra economica, di discuterne gli aspetti concreti e tutto questo sarebbe dirimente per lanciare una mobilitazione seria e duratura, per mettere anche in difficoltà i sindacati subalterni.
Il primo atto del Governo è stato quello di dare piena attuazione all'accordo del gennaio 2014 che alcuni costituzionalisti, per esempio Rodotà, definirono lesivo per la democrazia sindacale impedendo il diritto di sciopero. Ma anche Landini, allora segretario della Fiom, manifestò critiche feroci a questa intesa che oggi, da segretario della Cgil, sostiene e fa propria. Se queste sono le premesse del nuovo esecutivo c'è poco da stare tranquilli.

Domanda: a un mese di distanza dal giorno dello sciopero ci sono ancora spazi per aprire un confronto aperto su questi argomenti? Non ci resta che attendere.

Redazione Lotta Continua

 

 

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