thissen

Le morti sul lavoro non sono una tragica fatalità ma il frutto malato del profitto capitalistico

Le morti e gli infortuni sul lavoro non hanno prodotto alcun insegnamento, le ragioni del profitto hanno sempre la meglio, dentro la società capitalistica, sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Si lavora troppo e in condizioni precarie, morti, infortuni e malattie professionali ne sono la dimostrazione.
Le statistiche ufficiali sovente annotano dati inferiori alla realtà perché nel paese del lavoro nero molti infortuni sul lavoro, incluse le morti, non vengono denunciati soprattutto se le vittime sono migranti o lavoratori ricattabili. Le stesse malattie contratte per causa lavorativa sono statisticamente sotto dimensionate, basterebbe ricordare che , con anni di ritardo,  si scopre la nocività di alcune produzioni e  sempre con anni di ritardo si individuano malattie spesso mortali.

Il depotenziamento della medicina del lavoro, del sistema dei controlli da parte dell'Inail e della Asl sono stati parte integranti di una consolidata strategia padronale atta a ridurre ai minimi termini i controlli su cantieri e aziende proprio nel momento in cui la offensiva padronale si manifestava con maggiore forza. Un esempio eloquente è dato dal testo 81 che ha subito numerose rivisitazioni nell'ottica di alleggerire le sanzioni e le pene a carico dei padroni.

Nel 2019 muoiono in media 2,4 lavoratori al giorno, le statistiche sono oscillanti ma il nostro paese rientra nel novero delle nazioni con il maggior numero di infortuni e morti sul lavoro.
Non corrisponde a verità il fatto che infortuni e morti siano aumentate con la sconfitta della classe operaia alla fine degli anni settanta, con la svolta dell'Eur e la battaglia della Fiat per capirci.

Negli anni Settanta, ripetutamente è stato superato il tetto delle 3 mila denunce di morti all'anno e e negli anni Sessanta, nel pieno boom economico, la situazione era di gran lunga peggiore, basterebbe citare, dai dati Inail storici, l'anno 1963 con 4.644 morti corrispondenti a quasi 13 decessi per cause lavorative al giorno.

Infortuni e morti sul lavoro dipendono quindi dal ciclo produttivo, dall'intensità di sfruttamento, dal numero della forza lavoro attivo o se preferiamo dalle ore effettivamente lavorate che in Italia diminuiscono da anni al contrario di infortuni e morti sul lavoro. Se pensiamo al numero dei cassa integrati, dei disoccupati, dei tanti part time e precari a poche ore la settimana, infortuni e morti sul lavoro in Italia sono a livelli decisamente più alti della media dei paesi a capitalismo avanzato.

Anche le deroghe in materia di orario di lavoro hanno avuto un ruolo importante nell'incremento dei ritmi produttivi che restano tra le principali cause degli infortuni.

Vogliamo porci allora alcune domande?

I nostri sono solo spunti utili per una discussione che ci auguriamo non sia solo legata al ricordo , giusto e necessario, delle vittime , troppe volte dimenticate, di infortuni e morti sul lavoro ma segni piuttosto un momento di svolta per darci dei metodi di lavoro e degli obiettivi da perseguire insieme.

La battaglia per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ha un senso se ricondotta ad ambiti conflittuali e non solo ristretti alle singole aziende, sta qui forse l'errore principale commesso che ha separato e non unificato istanze comuni . E dal superamento degli errori bisogna ripartire.

Sindacato Generale di Base