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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Stragi quotidiane

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Sulla sponda nord e sud del Mediterraneo due stragi si consumano quotidianamente: quella delle persone migranti (nelle distese d’acqua e di sabbia, nei campi di concentramento) e quella delle persone che lavorano (nelle fabbriche, nei campi, nei cantieri, sulle strade).

Nel 2019 sarebbero morte, annegate nel Mediterraneo, non meno di 2500 persone (“Au moins 2500 réfugiés noyée dans la Méditerranée en 2019, combien entre Anjouan et Mayotte?” par OIM, in temoignage.re 04/01/2020)! A queste 2500 vanno aggiunte quelle che muoiono nei campi di concentramento in Libia o nel deserto prima ancora di arrivare alla costa Mediterranea. Ogni giorno il mare restituisce corpi di donne, uomini, bambini, che non sono riusciti ad arrivare sull’altra sponda, le cui forze sono venute meno nel buio della notte e alla luce del giorno, in solitudine o tra grida strazianti dei compagni e delle compagne di sventura. Ma non è la sventura ad ucciderle, è il sistema capitalista con i suoi ingranaggi economici e la sua potenza militare ad imporre gli ingranaggi economici. Un meccanismo tipo può essere così sintetizzato per un paese africano: taglio ai fondi pubblici per la manutenzione del territorio, privatizzazione delle terre su pressione di FMI e BM, crollo dei prezzi agricoli per effetto della concorrenza straniera, fuga dalle campagne, desertificazione, concentrazione nelle capitali e aumento della disperazione e della criminalità, emigrazione. Molti paesi africani sono ricchi di miniere di minerali determinanti per l’industria e non solo: uranio, fosfati, nichel, ed altri meno noti (oltre a quelli leggendari: oro, argento, diamanti). Ma lo sfruttamento delle miniere arricchisce solo una minoranza di quei paesi e in misura relativa rispetto alle ricchezze che possono accumulare gli sfruttatori stranieri. Per la maggior parte degli africani le miniere sono fonte di morte: gallerie che cedono, esplosioni, condizioni di lavoro disumane con aria irrespirabile. Le miniere, come i giacimenti, si trovano nel Maghreb (fosfati, olio e petrolio), nell’Africa subsahariana occidentale (uranio, nichel, etc.), nell’Africa centrale montana (oro e diamanti), nell’area meridionale (petrolio, diamanti e oro). E dunque chi fugge cerca un reddito (oltre che l’assenza di bande assassine), un reddito per sé e per i familiari, sia di primo grado che di secondo e terzo (a volte). Ad emigrare sono donne e uomini, sole/i o con prole, giovani soprattutto (nella speranza di avere le forze per arrivare). Perché emigrano clandestinamente? Perché per avere un visto europeo ormai è indispensabile avere un parente europeo, altrimenti chili di documenti e soldi per le traduzioni non bastano ad ottenere il visto, ma sono solo soldi e speranze bruciate. E dunque partono i piccoli camion carichi di migranti e partono barche e gommoni, in una fuga tra violenze di frontiera ufficiali e individuali, una fuga che il capitalismo promuove per sfruttarla in partenza e in arrivo, selezionando con metodi brutali i migranti che vuole far arrivare nelle fabbriche e nei campi, ma anche sulle strade d’Europa. Centinaia di morti, nel deserto, sulle strade, in mare, prima di arrivare alla sponda europea.

Ma c’è anche una altra strage che si consuma ogni giorno su entrambe le sponde: quella delle persone morte per andare a lavoro o sul luogo di lavoro e a causa del luogo di lavoro. È una strage fatta di giovani morti in miniera, di anziani morti di miniera, di trasporti di persone in condizioni bestiali, di mezzi meccanici che si ribaltano, che strappano membra e vita, in uno stillicidio continuo e censurato, come e più di quello delle morti nel deserto e nel mare. Uno stillicidio che riguarda l’Africa e l’Europa. I cosiddetti “incidenti” si verificano nelle fabbriche metallurgiche ma anche nei pastifici, nei campi, sui cantieri edili, lungo le strade di accesso ai luoghi di lavoro. Anche in questo caso, ogni giorno o quasi qualche persona muore, a volte gruppi di persone, e con la loro morte famiglie intere restano senza persona cara e senza reddito, in un lutto che approfondisce disperazione, mancanza di prospettive, rabbia, precarietà e ricattabilità.

Soltanto in Italia (fonte: cadutisullavoro.blogspost.com 05/01/2020 ) nel 2019 sono morte a causa del lavoro 1437 persone, e 701 sul lavoro !!! Di queste ben 141 sono state schiacciate dal trattore, 105 persone sono morte sui cantieri edili, 93 persone sono morte nel campo dei trasporti, 61 persone sono morte nell’industria, e tante altre in lavori. Anche se si separano le morti avvenute lungo il percorso per arrivare al lavoro, la cifra di 700 persone morte sul lavoro è impressionante, sembra il bollettino di un bombardamento. A queste persone vanno aggiunte quelle morte di malattia, mesi o anni e decenni dopo la fine del lavoro, a causa delle malattie contratte sul luogo di lavoro: esposizione all’amianto, agli acidi (sia nelle fabbriche di fosfati che di fosfati e fertilizzanti, che alle colle delle concerie e nel tessile), a vapori e fumi vari. Intanto in Marocco le persone morte a causa del lavoro venivano stimate nel 2017 in 3000 per anno ( fonte : “Accident de travail : 3000 morts par an ?” par Jihane Gattioui, leseco.com 14/02/2017) !!! Si tratta di stima perchè non ci sono statistiche ufficiali in merito, come lamenta la giornalista Gattioui: ci sono incidenti che non vengono dichiarati, lavoratrici e lavoratori che lavorano a nero, lavoratrici e lavoratori che muoiono sui camion mentre vanno a lavorare a causa delle condizioni disumane di trasporto, e di altre cause sempre non naturali.

Viene in mente ciò che scrissero i nazisti sul lager di Auschwitz: “Arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi”. Un sarcasmo criminale che le minoranze al potere in Europa come in Africa e altrove non sempre ostentano pubblicamente, ma che esprimono con un castello di legislazioni che rendono gli esseri umani dei macchinari da rottamare senza scrupoli quando troppo consumati per continuare a rendere. I padroni delle grandi società continuano a dividersi utili miliardari mentre la maggioranza della popolazione è spinta sempre più verso la miseria e per le strade si verifica anche una altra strage silenziosa: quella dei senza tetto immigrati e indigeni morti di freddo, un freddo accentuato dalla fame. In Europa sono sempre di più i senza tetto, anziani e giovanissimi, costretti a vivere per le strade, ai bordi delle stazioni, a cercare tra i rifiuti per mangiare, in balia dei vili bulli di turno, senza alcuna difesa. Con la perdita del lavoro, si perde la casa, e con essa quel minimo di serenità che le quattro mura possono illudere di dare, perché il bullismo non si ferma sulla porta di casa, entra e colpisce, troppo spesso impunito. Tante stragi con una sola guerra dichiarata: quella ai poveri, che sono la testimonianza evidente del funzionamento del capitalismo, ovvero un meccanismo di rapina di pochi armati ai danni dei più disarmati e divisi dal castello ideologico capitalista.

E allora finché ci sarà lavoro salariato, nel senso di lavoro dipendente, di un rapporto tra padrone e servi, non ci sarà rispetto per la vita umana. Finché ci saranno decine e centinaia e migliaia e milioni di persone che lavorano per arricchire di fatto una infima minoranza non ci sarà rispetto per la vita umana. Questo sistema non è riformabile e lo dimostra la storia delle pensioni: una trattenuta sulla busta paga con la scusa della garanzia di reddito per la vecchiaia, una scusa che ormai è palesemente una menzogna, perché le trattenute per averla aumentano ma anche l’età e l’eventualità di non avere mai quella garanzia di reddito per la vecchiaia è ormai certezza. Il capitalismo non ha né un volto umano, né tanto meno una coscienza, è una macchina da guerra al servizio di una esigua minoranza. Per affermare il valore della vita umana c’è bisogno di abbattere il capitalismo e la sua ideologia da lotteria, per la quale una moltitudine paga e uno solo vince tutto, una ideologia da lotteria che si basa anche sulla delega totale al sistema, al dittatore e alla divinità. Per abbattere il capitalismo occorre invece l’azione corale di milioni di persone che non delegano niente a nessuno, e fondano una società socialista, spazzando via con una rivoluzione capitalismo e nazifascismo.
di Marco Sbandi -- Casablanca

 

 

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