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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

(K. Marx)

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Contro lo Stato terapeutico

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Alcune considerazioni su ciò che riteniamo debba essere la salute, la regola, la responsabilità e quindi la libertà e lo facciamo condividendo alcune considerazioni.

Sulla medicalizzazione della politica e sulla politicizzazione della medicina

Assistiamo in modo evidente in queste settimane al fenomeno di medicalizzazione della società, ovvero alla messa sotto tutela dell’intera vita, che rende la salute un oggetto ambito ma alienato dal soggetto, sofferente o meno. Viene così negata la riflessione autonoma in materia di salute, avendo già predeterminato a quali valori e codici essa, la salute, debba rispondere. Medicalizzazione, in breve, che comporta l’ampliamento di categorie mediche a tutti quegli spazi della vita che prima non entravano a farvi parte. Ne fa la spese la libertà individuale; in quanto nel discorso comune si antepone la ricerca della salute perfetta al desiderio di libertà. Mai nessuna rivoluzione si è prodotta con uomini in “salute”, però. Questa subalternità, cifra della medicalizzazione intrusiva, si accompagna allo Stato terapeutico, onnipresente, contiene in radice l’autoritarismo, finalizzato al controllo sociale; stabilito dalla razionalità tecnica del sapere medico e del potere. La scienza (in generale), medica (in particolare), essendo per loro essenza instabili e relative, abbisognano del potere e della legge per comunicarsi all’esterno come universali e naturali. Quando la politica investe tutta se stessa nel legittimare e allargare spasmodicamente le categorie mediche (il virus è funzionale a questo allargamento poiché ne diventa il volano) trasforma i cittadini in potenziali malati. Quando la medicina determina le scelte politiche, la politica muta natura. Di fatto trasformando o recidendo le varie opzioni possibili - tra cui quella fondamentale della dialettica critica e conflittuale tra la ragione degli individui e le ragioni delle istituzioni- in “scelte” immutabili e istituzionalizzate, derubricando l’impegno politico a mera amministrazione tecnica. Questo uso della tecnica politica fine a se stessa, come biopotere, deve promuovere la paura, dissimulando i motivi e gli interessi di classe e finanziari (le case farmaceutiche) che sorgono nel connubio fra scienza medica e politica.

Un dettaglio: l’obbligatorietà dell’uso delle mascherine sta dentro questa logica (va da sé che i dpi e le mascherine debbano essere forniti al personale sanitario o a quanti lavorano o vivono in situazioni di rischio). Nel momento in cui la stragrande maggioranza degli italiani ha già  “volontariamente” optato per l’uso delle mascherine, la politica avrebbe dovuto lasciare che la minoranza che non le usa potesse continuare a farlo. Senza dunque sostituirsi ulteriormente alle scelte dei singoli. Salvaguardando così l’intimità e la capacità di giudizio delle persone si sarebbe dato segno di profondo rispetto civico e istituzionale. Questa inanità politica su cui ricercare l’obbedienza a tutti i costi è proprio ciò che ci conduce a ribadire che l’obbedienza non è mai stata una virtù.

Sulle regole

Ci pare parossistico, in relazione ai cosiddetti "assembramenti” che si usi la parola "regola" quando quella regola diffonde invece panico sociale. E’ esattamente questo modo di costruire le regola che crea il colpevole, il capro espiatorio da punire, occultando la vera motivazione: controllare sempre più ogni minimo atteggiamento e dissimulare il disastro che è stato compiuto dalla politica nel depotenziare strutturalmente il welfare. Le regole, in Filosofia dell’educazione, hanno, per fortuna, ben altro valore e significato. Non passa sicuramente inosservato il motivo per cui i cittadini "buoni" si siano trasformati in delatori. Si sottolineano questi atteggiamenti definendoli “responsabili” identificando, in realtà, il rispetto delle regole con il processo di autonoma responsabilizzazione, che invece non esiste. È proprio in forza di questa pretestuosa identificazione che la gente è pronta ad azzannarsi, sentendosi come un araldo al servizio della salute pubblica, quale però regola coartante la libertà. Accanto al terrorismo mediatico della stragrande maggioranza dei media nazionali, che instillano divisione sociale e paura dell'altro, si moltiplicano le notizie di interpretazioni forzate, quando non vere e proprie vessazioni, da parte delle forze dell’ordine di norme già di per sé fortemente restrittive della libertà individuale. Apprezzeremmo molto se la politica almeno riuscisse ad esortare la forza pubblica a usare equilibrio e a dismettere comportamenti lesivi della propria dignità di funzione pubblica e della dignità dei cittadini.

Sulla ripartenza economica e sociale

Si usa il medesimo linguaggio (alla D'Urso) perché questa politica non sa affatto lavorare alla organizzazione in sicurezza della ripresa della vita sociale, in modo che i bambini possano uscire e giocare, che la gente tutta possa tranquillamente compiere uno dei principi fondanti della vita (e della salute): il movimento. Tra l’altro questa politica riesce tranquillamente a dimenticare gli effetti psicologici e relazionali che tutta questa situazione sta producendo.

Sul fronte economico, riaprire la singola libreria - la gente non è stupida – è proprio il gradiente al ribasso della qualità di questa politica, che continua a dare “risposte” non organiche ai bisogni realissimi della vita materiale e non. Risposte dietro alle quali è evidente come non si tocchino affatto le condizioni di produzione capitalista di quella stessa vita. Iperproduzione e virus sono strettamente connessi. Nella loro reciproca letalità. Se la ripartenza non riparte da questo punto, non s’impegna, cioè, in un lavoro riflessivo e costruttivo di lunga lena per spezzare quella connivenza, allora non sarà ripartenza ma replica che da qui a poco ci riporterà in un altro baratro, da cui nessun moderno Sisifo si risolleverà.

La politica riuscirà ad uscire dal vortice della angoscia schizofrenica, della disorganizzazione totale, della propria autoreferenzialità, delle logiche catto-assistenzialistiche e soprattutto, continuerà a usare un linguaggio violento quale rappresentazione dell’unica realtà perfetta e acontraddittoria cui siamo condannati come se fossimo in guerra?

Rossana Sebastiani, appassionata di Storia e Sociologia, lavora nella cooperazione sociale

Pierpaolo Calonaci, appassionato di Filosofia e Sociologia lavora come pedagogista sociale nell’immenso mondo del precariato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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