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Riusciranno i nuovi contratti a recuperare il potere di acquisto? Domanda dalla risposta scontata perché con gli attuali meccanismi il recupero non è possibile.

Non mancano dati statistici che dimostrano come gli ultimi rinnovi non abbiano permesso alcun recupero, vale per il Pubblico Impiego dopo 9 anni di ingiustificabile blocco della contrattazione, vale per tutti quei contratti del privato che da anni attendono rinnovi. La indennità di vacanza contrattuale andrebbe poi eliminata perché pochi euro non compensano il potere di acquisto perduto che invece potrebbe essere garantito con arretrati veri e propri, per tutto il periodo nel quale i contratti sono stati senza rinnovo. La indennità di vacanza contrattuale ha permesso alle associazioni datoriali di rinviare i rinnovi anche di anni certi che non avrebbero pagato il dovuto ai lavoratori e alle lavoratrici. 

Poi c'è il nodo relativo alla produttività che diventa dirimente per il rinnovo di tutti i contratti, nel corso degli anni abbiamo subito quello scambio diseguale tra bonus e welfare aziendale che alla fine ha fatto risparmiare le aziende sfavorendo la forza lavoro che ha accumulato perdite dopo perdite.

Il crollo della produzione dovuto alla pandemia sta determinando ulteriori ritardi nel rinnovo dei contratti e soprattutto porterà le associazioni datoriali a valutare negativamente i recuperi del potere di acquisto collegando gli aumenti a parametri che terranno conto delle esigenze di impresa e di una economia ferma che non ha ancora recuperato, e certo non per colpa della pandemia, i livelli produttivi antecedenti alla crisi dell'anno 2008. Poi corriamo anche altri rischi, ossia che una parte delle associazioni datoriali rifiutino di sottoscrivere i nuovi contratti adducendo la motivazione della crisi economica il che potrebbe creare disparità di trattamento economico tra lavoratori del medesimo comparto

Ci sembra del tutto riduttivo affrontare i rinnovi guardando solo alla inflazione o all'andamento dell'economia perché nel frattempo il costo della vita è cresciuto e i salari hanno perso potere di acquisto I rinnovi contrattuali potrebbero allora servire per definire non tanto un recupero salariale ma rivedere quelle normative che ad oggi vengono giudicate superate dalla crisi economica, da qui alcuni istituti contrattuali potrebbero essere rivisti se non addirittura cancellati. Se Federmeccanica sostiene che i contratti nazionali sono importanti allo stesso tempo parla di sostenibilità degli stessi rispetto allo stato di crisi dell'economia, alla perdita della produzione nel periodo del lock down.

Chi pagherà allora il calo della produzione (fino ad agosto in calo del 21% con l'export in calo del 16%)? Sicuramente i lavoratori e le lavoratrici attraverso rinnovi contrattuali a perdere. Come sarà possibile assicurare un contratto con alcune tutele fondamentali se non collegando gli aumenti ai profitti dell'impresa?

Da qui nasce la richiesta aziendale di stabilire dei nuovi parametri\criteri ai quali agganciare i rinnovi contrattuali, in questa ottica si muoveva il vecchio Patto della fabbrica siglato da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. Con queste premesse non andremo lontano, anzi la discussione appena avviata su salario e welfare rischia di produrre effetti nefasti sul nostro potere di acquisto magari menzionando la diminuzione dei prezzi al consumo.

 Di conseguenza, se i soli parametri indicati dalle associazioni datoriali vedono un trend negativo, come sarà possibile portare a casa anche irrisori aumenti contrattuali? Per queste ragioni non possiamo transigere sui parametri\criteri che andranno a regolare i rinnovi contrattuali, prendere per buono la proposta datoriale significherebbe perdere potere di acquisto e diritti\tutele per la parte cosiddetta normativa.

E' preoccupante che la trattativa in corso su numerosi contratti lasci per ultima la questione salariale come sta avvenendo con i meccanici perché diamo per scontato che la discussione debba avvenire sui dettami aziendali, sulla salvaguardia, o sulla revisione peggiorativa, dei codici Ipca che hanno per altro sancito la perdita di potere di acquisto. Stando poi a codici Ipca nel migliore dei casi gli aumenti sarebbero pari al 2%, immaginiamoci allora cosa potrà accadere ai lavoratori che hanno contratti fermi da un decennio o quasi.  E attenzione alla contrattazione di secondo livello, il rischio è di non portare a casa niente per poi rinviare ogni eventuale discussione a livello aziendale dove anche un euro di aumento avrà la contropartita dell'aumento di plusvalore\sfruttamento.

La questione del valore lavoro diventa determinante a partire dallo smart working, dal telelavoro, dalla produttività, dal welfare aziendale.

Per tutte queste ragioni i padroni non negano la necessità di rinnovare i contratti nazionali, vogliono solo dettare le linee e le condizioni per i rinnovi sancendo così l'aumento del valore lavoro a costo praticamente zero.  

E il rischio che corriamo è quello di subire un insieme di regole che alla fine sanciscano la perdita di potere di acquisto, di tutele e diritti prevedendo criteri che determineranno il deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro.  Ci sembra importante sottolineare che senza una sanità pubblica non avremmo affrontato l'emergenza Covid, perseverare allora nel potenziamento della sanità privata e integrativa, a partire dai contratti nazionali, rappresenta non solo un grave errore ma un vero e proprio cedimento alle logiche che hanno indebolito la sanità pubblica, se poi a farlo sono i sindacati la cosa diventa ancora più grave.

Redazione pisana di Lotta Continua

(da: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com)