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La crisi del capitale e le prospettive sindacali: intervento di Fabio Scolari della Cub al dibattito organizzato la Lotta Continua Pisa

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Dopo il quadro generale che ci ha offerto Pietro [Basso], il mio tentativo potrebbe essere quello di provare a riassumere una serie di aspetti su cui la CUB ha iniziato a lavorare ed a riflettere da qualche anno a questa parte e che sono stati approfonditi con giornate di studio o cicli seminariali più specifici. Per questo motivo, cercherò di strutturare il mio intervento, anche a fronte della varietà delle questioni da affrontare, in una serie di punti in modo tale da essere, allo stesso tempo, schematico e completo.

1) In primo luogo, secondo me occorre partire dal dire che la crisi sanitaria mondiale attualmente in corso ha impattato su un tessuto produttivo e economico come quello italiano già da tanti decenni martoriato da politiche neoliberali che hanno visto nella precarizzazione strutturale del lavoro e nella privatizzazione dei sevizi pubblici due momenti assolutamente complementari. In questo senso, alla scelta della classe dominante italiana di disciplinare l’antagonismo operaio nell’ambito della produzione, attraverso l’utilizzo massiccio di forme di decentramento produttivo e di esternalizzazione/delocalizzazione di fasi produttive, si sono associate, negli ultimi tempi, una serie di politiche di vera e propria “desertificazione sociale” per invertire anche nell’ambito della distribuzione le conquiste che erano state ottenute dalle lotte operaie tra l’inizio degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta. Quindi, a mio modo di vedere, per capire la portata dell’attuale crisi sanitaria, che si è intrecciata con una crisi economica e con una crisi dell’ordine internazionale, bisognerebbe cercare di partire dal ricostruire, almeno nei suoi tratti essenziali, quel nuovo modello di accumulazione flessibile, basato sulla forza trainante del capitale finanziario, che ha visto i suoi prodromi proprio a partire dalla metà degli anni Settanta del Novecento.

2) Dunque, a partire da questa premessa, si dovrebbe facilmente capire come mai tutti i momenti di crisi economica che fino ad oggi ha vissuto il movimento operaio siano stati indissolubilmente legati ad una strategia di riconquista del potere politico da parte delle classi dominanti occidentali. Evidentemente, anche questa crisi non sarà che l’ennesimo sostegno per promuovere, chiaramente in  forme sempre diverse, una ristrutturazione produttiva di carattere permanente che sarà basata principalmente sull’azione di tre tendenze: - la prima produrrà, con tutta probabilità, un accrescimento del potere capitalistico sul lavoro, questo è sicuramente uno dei portati della digitalizzazione della produzione e dei servizi; - la seconda, invece, sarà legata ad un estremo incremento dei ritmi di lavoro, questa è una evoluzione che si può osservare a partire dall’applicazione dei principi della “produzione snella” per poi arrivare fino alle forme di organizzazione del lavoro a noi più contemporanee come il World Class Manufacturing applicato in FCA (oggi Stellantis); - la terza, infine, sarà la richiesta di una maggiore flessibilità (dicasi precarietà per capirci meglio) nell’utilizzo della forza-lavoro impiegata nelle imprese capitalistiche. Sulla base di questa situazione, è importante segnalare, per chiarezza, la scommessa che ci ha spinto ad organizzare, proprio in questo periodo pandemico, un ciclo di seminari specifici sull’organizzazione del lavoro. La nostra scommessa era basata, infatti, sull’idea che tornare a studiare la nuova struttura della classe lavoratrice  ci potesse permettere di ragionare  su due piani: - in prima battuta, fare questo ci avrebbe fatto misurare con i problemi concreti che ci hanno posto le diverse categorie di lavoratori nei vari webinar; - in seconda battuta, tutto ciò ci ha consentito anche di provare ad anticipare, per quello che è possibile, le risposte future che i lavoratori e le lavoratici daranno sicuramente al deteriorarsi delle loro condizioni di vita e di lavoro, anche perché è chiaro che tanto il programma italiano quanto quello europeo non riserveranno che misere briciole alle esigenze dei salariati. In questo senso, quindi, quello che abbiamo cercato di tornare ad esplorare è la relazione, sempre più articolata, tra i mutamenti nelle forme di accumulazione del capitale su scala mondiale con le trasformazioni nella composizione tecnica e politica della classe lavoratrice, sia a livello nazionale sia a livello internazionale. A riprova di quanto ho appena detto, chi ha seguito questo ciclo di incontri si ricorderà che l’intervento di apertura è stato affidato non casualmente a Ricardo Antunes, un sociologo del lavoro brasiliano di fama internazionale.

3) Dopo aver detto questo, posso sviluppare il terzo punto del mio intervento che verte sul tipo di contributo che può dare la CUB alla rinascita di una opposizione di massa al governo Draghi che, come era facile prevedere, si sarebbe mosso in totale continuità con gli interessi delle classi dominanti italiane, europee ed internazionali. Quanto dirò, intersecando maggiormente le questioni di attualità politica e sindacale, verrà affrontato, nei modi possibili, nel mese di maggio con un ciclo seminariale specifico. Chiaramente per esplorare questa tematica non posso che rimandare al piano di azione che è stato elaborato dalla Segreteria Nazionale della CUB durante la prima fase di lockdown. Ovviamente, questo testo, dovrà essere rivisto, aggiornato ed approfondito in alcuni dei suoi aspetti. Ad ogni modo, penso comunque che da questo scritto si possano estrarre una serie di elementi che dovrebbero qualificare l’azione della CUB nel prossimo futuro: - in primo luogo, la CUB ritiene necessario imporre, attraverso lo sviluppo di lotte e mobilitazioni dei lavoratori, un piano di intervento pubblico straordinario che deve offrire delle garanzie reali alle decine di migliaia di lavoratori che hanno perso o che perderanno il posto di lavoro negli anni a venire. In questo senso, però, è necessario che il ruolo dello Stato non si esaurisca in una grande socializzazione delle perdite a favore di banche e di imprese private (come è avvenuto dopo la crisi economica e finanziaria del 2007/2008), ma questo deve spingersi fino a pianificare una diversa composizione della produzione che non sia più centrata sul valore di scambio delle merci, ma sul valore d’uso. È evidente che questa strategia, per avere un senso, deve essere in grado di congiungersi anche con delle forme di controllo operaio esercitate dal basso ed è per questo motivo che torna la necessità di conquistare una legge veramente democratica sulla rappresentanza sindacale. Inoltre, in un contesto di crescenti difficoltà “nella riproduzione del rapporto di lavoro salariato”, secondo la felice espressione di Giovanni Mazzetti, si rende sempre più necessario rivendicare una drastica e generalizzazione riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario che deve essere però complementare ad una radicale ristrutturazione del sistema fiscale in modo tale che vengano colpite le rendite, le grandi ricchezze e i grandi patrimoni delle classi privilegiate.  Quest’ultimo aspetto, inoltre, sarà sempre più importante in un contesto di crescita del debito pubblico. Infine, l’ultimo aspetto che mi sembra interessante richiamare del Piano e che delinea una prospettiva di lungo periodo è la chiara scelta internazionalista che fa la nostra organizzazione, da svilupparsi in linea con le attività della rete sindacale internazionale alla quale la CUB aderisce. In questo senso, se il capitale si muove ormai su una dimensione compiutamente transnazionale è chiaro che non si può più pensare o comunque sarebbe molto sterile continuare a pensare di poterlo contrastare rinchiudendoci all’interno dei nostri angusti confini nazionali.

In definitiva, dunque, penso che siano 4 i punti salienti che dovrebbero orientare l’azione sindacale della CUB nel prossimo futuro:

  • La rivendicazione di un intervento pubblico di carattere strutturale che non si riduca a mera socializzazione delle perdite di banche ed imprese e che si congiunga con forme di controllo operaio dal basso;
  • Una riduzione drastica e generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario;
  • Una radicale rimodulazione del carico fiscale contro le classi dominanti attraverso varie forme come una tassa patrimoniale, una maggiore progressività delle imposte, una detassazione dei salari operai, una vera lotta all’evasione ed all’elusione fiscale;
  • Lo sviluppo di lotte compiutamente transnazionali in modo tale da riuscire a ricostruire “soggettivamente” l’unità di quei lavoratori che sono “oggettivamente” occupati nelle stesse filiere produttive che però risultano essere scomposte su scala internazionale.

Spero di essere riuscito a toccare tutti i temi oggetto del nostro dibattito e vi ringrazio molto per l’invito.  

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