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Franco Dominici, Giulietto Betti 1921, La Strage fascista di Roccastrada

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Franco Dominici, Giulietto Betti

1921, La Strage fascista di Roccastrada

 Pitigliano, Le Strade bianche di stampa alternativa, 2021, pp. 87, almeno € 5.

 Recensione di Silvio Antonini

Nell’affrontare lo stragismo legato al periodo fascista si fa automaticamente riferimento al suo tragico epilogo, vale a dire ai 18 mesi del 1943-43, alle stragi perpetrate dall’occupante nazista in collaborazione con il fascismo locale. In realtà, il ricorso allo strumento stragista contro la popolazione civile, contro cittadini inermi, è già del tutto riscontrabile nello spirito fascista degli esordi, durante quella “guerra civile dimenticata” collocata tra il 1919 ed il 1925.

In questo frangente, i seguaci, più o meno riottosi, di Mussolini, onde conquistare i centri ed i quartieri considerati ostili, fanno largo uso del terrore. Le vittime, a centinaia su tutto il territorio nazionale, possono essere esponenti dei partiti proletari ma non necessariamente: si può anche trattare di semplici passanti in una zona considerata avversa al movimento fascista.

 Il metodo adottato in questa guerra di movimento è abbastanza noto: i fascisti d’un dato circondario si organizzano per compiere blitz solitamente a bordo di camion, si recano in un abitato e mirano alla distruzione e all’occupazione delle sedi operaie e dei municipi, con l’esposizione del Tricolore dal balcone. Questo accade se va bene, se c’è la copertura delle forze dell’ordine e si va a colpo sicuro.

Ma nell’estate del 1921, specialmente nel luglio di quell’estate, determinate certezze iniziano a vacillare.

Attorno alla primavera, la guerra di movimento, dopo il banco di prova della Valle Padana, stava scendendo man mano verso il Centro, nel mentre le forze proletarie incominciavano ad organizzare l’autodifesa. Com’è ormai noto, l’iniziativa viene dal mondo combattentistico, dinanzi ad un movimento operaio del tutto impreparato alla guerra dichiarata dai fascisti. Il 6 luglio, a Roma, il debutto nazionale degli Arditi del popolo, che in brevissimo tempo si diffondono un po’ in tutto il Paese, segnatamente nell’Italia Centrosettentrionale. Il 10-12 luglio, a Viterbo, la prima sconfitta dei fascisti cui viene impedito l’ingresso nel Centro cittadino; 10 giorni dopo è la volta di Sarzana. In ambedue i casi, con il protagonismo degli ardito – popolari.

Il fascismo entra così nella sua prima grande crisi, con una reazione ambivalente: il nervosismo dei ras di provincia, propensi alle maniere forti, ed i vertici “romani”, più inclini ad una soluzione diplomatica per uscire dall’impasse che rischiava di far deflagrare un fascismo ritenuto sino a poco prima  inarrestabile. È in questo clima che si consumavano i tragici fatti di Roccastrada.

Proprio al centenario della strage, l’uscita della prima monografia interamente dedicata, sebbene gli avvenenti in oggetto ebbero immediata eco nazionale e siano citati in tutte le trattazioni inerenti il periodo in esame.

Gli autori, hanno già all’attivo diversi, pregevoli, volumi storiografici a quattro mani sulla Storia contemporanea della Bassa Toscana: il più recente, Fascismo, Resistenza e altre storie in Maremma (Effigi, 2020). Per questo agevole quanto prezioso saggio, i due fanno una sortita con Strade bianche di stampa alternativa, in una collana dichiaratamente No Amazon, No copyright e ad un prezzo di copertina marcatamente popolare.

Il volumetto è introdotto da un inquadramento storico per entrare nel cuore di fatti su cui, nel corso del tempo, si sono avute anche interpretazioni influenzate dal revisionismo strumentale. Forse proprio da qui l’esigenza di mettere il tutto nero su bianco, specialmente in base alla documentazione d’archivio acquisita.

La Strage si consuma il 24 luglio del 1921. I fascisti, in scorribanda per sottrarre il Grossetano ai rossi che governano gran parte delle amministrazioni e lamentando di aver subito un agguato ai loro convogli, con la morte del giovane squadrista Ivo Saletti, si recano per rappresaglia a Roccastrada. Una rappresaglia che si consuma nel terrore e alla fine della quale si contano dieci morti tra la popolazione ed un paese devastato. Gli Arditi del popolo, la cui diffusione si poggiava prevalentemente sulle linee ferroviarie, qui non si erano, significativamente, formati. Pare vi fossero state solo delle riunioni a tal proposito.

 Il saggio, confutando innanzitutto la vulgata filo-fascista sugli accadimenti, ricostruisce minuziosamente il clima, l’ambiente e gli antefatti della Strage, seguendo poi le tracce dei responsabili, in quell’intreccio tra affarismo, criminalità comune e politica caratteristico dei capi dello squadrismo fascista. Si riferisce, inoltre, del processo tenuto nel Secondo dopoguerra, annullati gli effetti dell’amnistia di cui avevano inizialmente beneficiato i colpevoli della Strage.    

 Emerge un curioso dato politico rispetto a quanto si andava verificando nelle provincie limitrofe. Se i repubblicani nell’estate del 1921 sono ormai in aperta avversione al fascismo, tanto da essere spesso a capo proprio degli Arditi del popolo, nel Grossetano sembra persistere una simbiosi tra fascisti e repubblicani. Un dato da approfondire.

Chiude il libro la lettera che Leo Landini, figlio d’un Perseguitato politico di Roccastra, scrisse apertamente a Massimo D’Alema, allora a capo dei Ds, quando questi, nel 2005, aveva dichiarato un errore l’esecuzione di Mussolini.   

Silvio Antonini   

 

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