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 Guido Picelli, La Mia Divisa, Scritti e discorsi politici

a cura di William Gambetta

Ghezzano, Bfs, 2021, pp. 158, € 16.00

Si appresta il centenario delle Barricate di Parma, l’episodio più celebre di vittoriosa contrapposizione all’avanzata del movimento fascista prima della Marcia su Roma, e questa pubblicazione, editata dalla Biblioteca Franco Serantini, ne è senza dubbio il più significativo viatico. Lo è perché di Guido Picelli, il più noto Ardito del popolo, almeno prima che fosse recuperata a pieno la figura di Argo Secondari, abbiamo l’immagine, la percezione della statura morale ed umana ma un vero e proprio strumento che ne raccogliesse esaustivamente ed efficacemente il pensiero politico di fatto mancava.

A compiere quest’opera di emersione degli inediti e di assemblaggio frammenti, William Gambetta, agitatore politico e storico, con all’attivo diverse pubblicazioni, animatore del Centro studi movimenti di Parma, assieme al Comitato Agosto 1922 tra i soggetti curatori del presente volume.

Alla prefazione di Andrea Bui e alla corposa premessa del curatore, segue la cronologia della vita dell’autore e poi i suoi scritti. A chiusura, un’appendice consistente nella trascrizione dei documenti della Guardia rossa, degli Arditi del popolo di Parma, dei Gruppi segreti d’azione – Soldati del popolo, ed una nota autobiografica.

Gli scritti in oggetto coprono l’arco di tempo che va dall’immediato Primo dopoguerra alla Guerra civile e sociale spagnola, cioè l’intera parabola picelliana. Le fonti emerotecarie sono in prevalenza “L’Idea”, periodico socialista parmense, la stampa del Pcd’I, vale a dire “l’Ordine nuovo” e “l’Unità”, ed il famoso numero unico “L’Ardito del popolo” di Parma. Sul versante archivistico, troviamo principalmente l’Archivio storico nazionale del Pci, “il Gramsci”, il Casellario politico presso l’Archivio centrale dello Stato e gli Atti parlamentari.

Dalla lettura prende così forma la personalità politica, pubblica, di Picelli, la sua divisa. Come milioni di altri suoi coetanei e commilitoni al mondo, si getta nell’agone politico di ritorno dal Fronte. Lo fa con la Lega proletaria, l’organismo combattentistico legato alla Cgl, e quindi con il Partito socialista, allora detto ufficiale. Pur provenendo dalla capitale dell’interventismo democratico e rivoluzionario, Picelli non sembra affatto nutrire simpatie per le istanze interventiste che comunque, visto il loro sostanziale fallimento nel prospettare in Italia la trasformazione della guerra in sconvolgimento rivoluzionario, nel dopoguerra erano assai in ribasso preso il movimento operaio. Nel 1920 organizza la Guardia rossa, e l’anno successivo, dopo essere stato eletto Deputato, gli Arditi del popolo, dopodiché matura la decisione di entrare nel Pcd’I, al quale sarebbe restato fedele fino alla fine dei suoi giorni, il 4 o 5 gennaio 1937, a Mirabueno, Combattente volontario antifascista in Spagna.

Picelli è stato senza dubbio uomo d’azione, anche nella prosa. È retorico il giusto, di una comprensibilità dovuta probabilmente anche al confronto con il pubblico da attore teatrale; i suoi riferimenti culturali sembrano essere perlopiù rintracciabili nella letteratura ottocentesca francese. È però interessato al momento, alle circostanze date dai fatti, senza mai abbandonarsi in elucubrazioni intellettualistiche o dogmi ideologici. Lo si riscontra dappertutto ma segnatamente nelle Barricate di Parma dell’agosto 1922, su cui l’autore sarebbe tornato più volte nel corso della sua vita e che rappresentano ovviamente il cuore anche di questo volume. Gli Arditi del popolo di Parma, ad un anno dalla messa fuorilegge a livello nazionale, non sono più quelli fondati a Roma da Secondari: sono venute meno le matrici spiritualistiche e dannunziane degli esordi, in favore d’un adagiamento sulle forme del movimento operaio. Picelli, indiscusso protagonista di questo mutamento apportato dai fatti, scorge nelle barricate il paradigma dell’opposizione popolare unitaria al fascismo. Qui si sono però imperniati alcuni equivoci, gonfiati nei decenni successivi, con il tentativo di addomesticamento del pensiero di Picelli, sino a farne sparire gli indubbi connotati rivoluzionari e di classe. Gambetta affronta la questione nella premessa ma lo si nota anche negli interventi parlamentari che Picelli pronuncerà, tra contestazioni e commenti, come riferiscono i resoconti, fino alla decadenza per le Leggi fascistissime, nel novembre 1926. Grande era qui il suo impegno sul fronte delle carceri. Curioso, poi, l’intervento di ricordo alla Camera per la morte di Sun Yat Sen.

Affrontando l’attualità, Picelli parlava, va da sé, di fatti contingenti di cui si è eventualmente oggi persa la memoria, e ciò fa magari risultare la lettura di questa monografia ancor più affascinante. C’è però un ragguardevole lavoro in merito, esplicato nell’apparato critico, con le note didascaliche sulle persone ed i fatti menzionati che rendono il volume facilmente comprensibile ed assimilabile anche fuori l’ambito degli addetti ai lavori.

Silvio Antonini