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Dopo il ripristino del voucher dobbiamo aspettarci l'offensiva contro il Decreto Dignità, decreto per altro mal digerito da associazioni datoriali e parte del sindacato.

L’ideologia del Ministro del lavoro era già stata espressa con chiarezza in un libro, un suo manifesto di un punto di vista a sostegno del lavoro iper-flessibile. Già presidente dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, sostenitrice del Jobs act Calderone scriveva che occorre: “Educare le giovani generazioni a una nuova idea di lavoro, pensato come flessibile, internazionale e mobile.” che
“La cassa integrazione, il reintegro e altro ancora, sono adatti a un mondo che non esiste più.” E ancora auspicava la necessità di “Abbandonare l’aspirazione al posto fisso per mentalità di intraprendenza e capacità del rischio, continua Calderone, per un lavoro non come fonte di profitto, ma come servizio.” Combinando insieme iper-liberismo e una logica corporativa per cui gli interessi fra impresa e lavoratori sono gli stessi, gli aumenti salariali inoltre devono essere intesi come una richiesta individuale e non collettiva.

Si tratta di un’ulteriore conferma, a scanso di equivoci, che si è persa del tutto la traccia di una visione reale del lavoro come fonte di sostentamento per una esistenza dignitosa e quindi un tempo indeterminato con inquadramento in un contratto dignitoso, ergo fuori dalla galassia sterminata di Contratti nazionali del lavoro costruiti ad arte per abbattere il costo del lavoro e giustificare al contempo i processi di esternalizzazione\privatizzazione.

Il lavoro da tempo è una variabile dipendente dai profitti di impresa, le privatizzazioni hanno messo in circolazione una grande quantità di capitali e, apparentemente nell'ottica liberista, messo a valore attività un tempo trainate dal settore pubblico.

Comprendere le endemiche crisi capitalistiche non determina l'attesa messianica della caduta del saggio di profitto e del capitalismo stesso, una lettura questa fuorviante di Marx o fin troppo semplicistica della realtà odierna.

Ma non interrogarci sui cambiamenti in atto porta inequivocabilmente ad appiattirci sulla vulgata ufficiale, introiettando il punto di vista dell'avversario di classe o limitandoci solo al contenimento del danno in un'ottica che parrebbe difensiva quando invece è di totale resa.

Accade da decenni al mondo sindacale e al variegato universo politico "di sinistra", incapace di leggere la realtà per poi poterla avversare in una prospettiva di cambiamento.

La moltiplicazione dei contratti nazionali esistenti, sono quasi 1000 quelli certificati, dovrebbe indurre a una riflessione amara ossia al ruolo del sindacato subalterno che nel corso degli anni ha assecondato i processi in atto proprio per la incapacità di leggerli.

Assecondare i processi significa innanzitutto legarsi alla classica logica di contenimento del danno che porta a giudicare irreversibile i processi in atto subendo il punto di vista datoriale (ossia gli interessi della classe padronale).

È avvenuto con i contratti a tempo determinato asserendo che in ogni caso erano pur sempre vincolati ad un contratto nazionale o potevano, se reiterati nel corso degli anni, rappresentare una opportunità per la stabilizzazione trasformando gli stessi in contratti a tempo indeterminato. È avvenuto con la sterminata platea dei contratti precari introdotta dall'avvento dell'interinale, un contratto europeo da normare nell'ottica del primo centro sinistra 30 e passa anni fa.

Il decreto dignità, insieme al Reddito di cittadinanza, è anche frutto del Movimento 5 Stelle che per altro ha fallito in ogni altro campo, ma doveva pur sempre portare qualche risultato a casa per giustificare il suo ingresso nelle compagini governative e la inesorabile trasformazione da realtà "antisistema" in realtà integrata nel sistema.

Il ricorso al tempo determinato era divenuto dominante dei rapporti di lavoro, anzi innumerevoli lavori erano, e sono, ormai affidati a contratti a tempo (che hanno superato il tetto dei 3 milioni) che sfuggono ad ogni logica stagionale legati come sono al reitero di appalti con o senza gara e alle classiche incertezze del mercato.

Se si attacca il Reddito di cittadinanza, se passa la logica del bonus come anticipo dei futuri rinnovi contrattuali, questa contrattazione al massimo ribasso presto riguarderà anche le tipologie contrattuali.

Nel corso della pandemia la sospensione parziale del Decreto dignità è stata motivata con il blocco delle attività dovute al Covid e al clima di incertezza dell'economia. Si è giustificata con una situazione emergenziale la necessità di ripristinare la centralità del tempo determinato come tipologia classica del rapporto di lavoro.

E se a muovere il Governo di destra sono interessi di marca padronale, allora l'attacco al decreto dignità è imminente o solo questione di tempo e lo si evince da una intervista di Durigon al Messaggero.

Semplificare i contratti per adeguarli al nuovo contesto post pandemia è la giustificazione addotta per questo ennesimo attacco ai diritti dei lavoratori, sposando la tesi della riduzione del danno ossia che un contratto a tempo è pur sempre preferibile alla disoccupazione. E nella stessa ottica, padronale, anche un voucher diventa preferibile al nero o la detassazione del premio aziendale (che favorisce i datori) una sorta di recupero del potere di acquisto.

Il Governo Meloni giudica inutili i vincoli ai contratti determinati, anzi li ritiene dannosi per il tessuto produttivo facendo proprio il punto di vista datoriale e per questo stanno lavorando, da tempo, alla cancellazione (o revisione o contenimento a seconda della terminologia da usare all'occorrenza) del Decreto dignità che limitava il reitero di questa tipologia contrattuale nell'ottica di una stabilizzazione della forza lavoro.

Dati alla mano i datori, se costretti da un decreto legislativo, alla fine trasformano i contratti da tempo determinato a indeterminato. Se invece si lascia loro campo libero viene rafforzata la precarietà lavorativa ed esistenziale.

I sindacati hanno mal digerito il decreto dignità solo perché avrebbero voluto inserire queste norme dentro la classica contrattualistica del lavoro, quando invece è ormai acclarato che dentro di essa prevalgono deroghe e riforme peggiorative, perché i rapporti di forza sono da tempo svantaggiosi per una forza lavoro rappresentata da sindacati arrendevoli. Quando poi qualche sindacato di base riesce, in alcuni settori e dopo vertenze conflittuali, a guadagnare contratti di secondo livello vantaggiosi arriva la repressione o il silenzio, perché i contratti di secondo livello nella normativa vigente sono ormai diventati peggiorativi rispetto ai contratti nazionali.

Non sbagliamo a pensare che il Governo Meloni guardi con favore alla stagione Renziana, quando il Ministro del lavoro di allora pose fine alle causali per motivare il tempo determinato, in una ottica di liberalizzazione e semplificazione dei rapporti di lavoro che sta tanto a cuore anche alle destre. Senza causali, in un solo anno, i contratti a tempo determinato aumentarono di oltre 900 mila a mero discapito del tempo indeterminato.

Il punto di vista delle destre è peraltro lo stesso dei consulenti del lavoro (la logica delle corporazioni interclassiste tanto cara al fascismo) che giudicavano le causali preoccupanti e pericolose perché davano adito a possibili contenziosi legali. Così non è stato, come confermano i dati del Ministero della giustizia. E nell'era della semplificazione rimuovere ogni laccio e lacciuolo non fa altro che restituire ulteriore forza e potere alle associazioni degli imprenditori e indebolire chi offre il proprio lavoro nel mercato moderno del lavoro. Meloni ha affermato che la sua intenzione è quella di favorire “chi vuole fare, chi vuole creare ricchezza”, per pochi, per i soliti ovviamente.

A cura della Redazione pisana di Lotta Continua.

Da: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com