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Lavoro in nero.

 Sono in molti a pensare che la lotta al lavoro nero sia innanzitutto una questione di buon senso per recuperare alla fiscalità generale i contributi proveniente dalla emersione. Ma in gioco sono interessi economici che con il buon senso e la ragione hanno poco da spartire.

Parliamo, cifre approssimative, di circa 37 miliardi di euro evasi dal fisco, cifre frutto per altro di studi ed analisi ministeriali, del resto il lavoro nero è una realtà conosciuta e da tempo indagata, sta sotto i nostri occhi giorno dopo giorno. 

Ma se fosse cosa semplice regolarizzare il nero ci saremmo riusciti da decenni evitando condoni e interventi Governativi, quello Meloni incluso, compromessi, patteggiamenti e sconti ai debitori per avere qualche entrata sicura nelle casse statali.

E in ambito lavorativo, per invogliare le imprese a regolarizzare la forza lavoro, non sono mancati pacchetti governativi e condizioni di favore, ad esempio, la moltiplicazione di contratti precari, le deroghe ai contratti nazionali, decisioni tali da abbattere il costo dei salari favorendo nei fatti i datori. Siamo certi che a precarizzare il lavoro siano intervenuti tanto le richieste datoriali quanto la idea che qualche contratto da fame in più avrebbe recato benefici alle casse pubbliche.

Ma, nonostante ciò, il lavoro nero continua ad esserci soprattutto in alcune Regioni del paese e in determinati comparti.

La precarizzazione del lavoro e la spinta verso il basso dei salari non sono stati di grande aiuto alla emersione del nero ragione per cui esistono motivazioni profonde e intrinseche al fattore produttivo ogni qual volta si parla di lavoro nero e di mancati contributi versati allo Stato.

In Italia ogni tregua o condono fiscale sono accompagnati da infinite polemiche, l'ultima riguarda gli interventi del Governo a sostegno dei lavoratori autonomi colpiti dalla crisi lasciando fuori i dipendenti. Sono in molti a chiedersi la ratio di questa decisione visto che la crisi economica ha colpito ogni famiglia a prescindere dalla fonte reddituale della stessa ma c'è poco da dire se pensiamo al sistema di tassazione o alla flat tax.

Regolarizzare il lavoro nero avrebbe effetti benefici sulle casse statali ma per quale ragione il nero in Italia è ancora così diffuso? Le offerte per uscire dal nero sono state adeguate? E lo Stato deve essere inflessibile o dialogante? Sono domande non nuove ma ancora oggi senza risposte.

Intanto nella definizione di lavoro nero ci sono casistiche assai diverse, si può evadere i contributi della forza lavoro o direttamente il fisco, siamo in presenza di molteplici situazioni come anche corrispondere paghe irregolari in parte al nero e in parte regolate secondo contratto.  E lavoro nero dovrebbe essere considerato anche il sotto inquadramento che permette ai datori di risparmiare sul costo del lavoro pagando anche meno tasse.

Dalle molteplici definizioni si traggono idee e immagini diverse, quello che manca è un ruolo chiaro dello Stato che dovrebbe scegliere alcune politiche fiscali progressive ma non lo fa per assecondare gli interessi datoriali e perché è ormai dominante l'idea del pagare meno tasse come soluzione di ogni problema. 

Nel frattempo, domina incontrastata la precarietà del lavoro e contro il lavoro nero si invoca i soliti argomenti retorici utili ad occultare le profonde contraddizioni del sistema capitalistico italiano.

Perché il lavoro nero resta uno degli strumenti atti a ridurre il costo del lavoro facendo accettare stabilizzazioni eventuali al massimo ribasso

A cura della redazione pisana di Lotta Continua

Da: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com