bandieree

Come già avvenuto nel 2020 anche quest' anno il 25 Aprile e il 1° maggio non saranno possibili con iniziative di piazza partecipate e combattive se non parzialmente in alcune città come Milano. La pandemia è ancora in corso e in Italia le vaccinazioni sono indietro rispetto agli altri Paesi Ue, restano fuori dalla immunità di massa non solo soggetti fragili, ma lavoratori, lavoratrici, studenti e studentesse, cioè la stragrande maggioranza della popolazione.

Molti lavoratori che operano in luoghi pubblici sono rimasti ad oggi fuori dalle vaccinazioni. Un autentico caos derivante non solo dalla penuria delle dosi vaccinali, ma anche dall'ignavia dei governi occidentali che non intervengono per eliminare i diritti di proprietà sui brevetti consentendo a tutti i Paesi di produrre i vaccini senza sottostare ai ricatti delle multinazionali.

Da tempo continuiamo a chiedere che i vaccini siano messi a disposizione di tutti i Paesi in base alle priorità della salute delle persone e non alla forza economica (il Prodotto Interno Lordo, l’importanza politico-economica del Paese), per superare i vincoli legati ai brevetti e trasparenza nei contratti con le aziende farmaceutiche, per avere rigorosi controlli di sicurezza sui vaccini e sugli eventuali effetti avversi. I contagi hanno messo in ginocchio la sanità e in serio pericolo sono i diritti alla salute, i vaccini non saranno sufficienti a eliminare la pandemia, ma sicuramente la potranno ridurre se terremo conto delle reali necessità delle popolazioni.

Facciamo nostra la posizione di Medicina Democratica che chiede di porre fine “allinsider trading da parte dei dirigenti farmaceutici, o delle case farmaceutiche che si arricchiscono indebitamente a spese pubbliche, attuando le raccomandazioni contenute nella risoluzione 2071 (2015) sulla sanità pubblica e gli interessi dell’industria farmaceutica”.

Come garantire il primato degli interessi della sanità pubblica se pensiamo che la stessa Organizzazione mondiale della sanità rileva un aumento dei contagi e dei decessi del 9% a metà aprile con un aumento dei casi dell'800 per cento rispetto ad un anno fa con Paesi in condizioni drammatiche come Brasile, India e Turchia?

In nome della lotta alla pandemia sono in corso feroci e silenziosi processi di ristrutturazione, i soldi del Recovery sono vincolati a piani strutturali e alla attuazione di grandi opere secondo i desiderata imprenditoriali. Il ruolo dello Stato e degli enti locali rischia di fare da traino agli interessi speculativi e privati, ad ottobre con il ripristino dei licenziamenti collettivi decine di migliaia di posti di lavoro potrebbero essere cancellati. La patrimoniale e la redistribuzione del reddito su grandi patrimoni imprenditoriali, immobiliari, terrieri, non soggetta a indebitamento, non viene minimamente considerata: gli interessi dei padroni non si toccano. Già oggi, nonostante il formale divieto dei licenziamenti, si registrano esuberi negli appalti e con la chiusura di numerose attività commerciali e turistiche.

Oggi il filone austro-americano liberista, quello che invocava il non intervento dello Stato nell'economia, sembra essere sconfitto dalla variante ordoliberista, dominante nella Ue e negli Usa di Biden, secondo cui lo Stato deve farsi garante della libera concorrenza dei mercati, della circolazione di capitali e indirizzare a tale scopo le politiche economiche e sociali.

Non si tratta di invocare più Stato e più pubblico se Stato e pubblico restano funzionali agli interessi del capitale, se non si cambiano i rapporti di forza che in 30 anni hanno accresciuto le disuguaglianze sociali ed economiche proletarizzando i ceti medi e affermando uno sfruttamento sempre più intensivo della forza lavoro.

Mentre scriviamo giungono notizie di denunce e arresti ai danni di attivisti sociali e sindacali con Cgil Cisl Uil e Terzo Settore che ormai rappresentano il blocco sociale di riferimento e di sostegno del Governo Draghi. E questi sindacati complici hanno sottoscritto accordi per la riforma della Pubblica amministrazione rafforzando il ricorso alla performance e al cosiddetto “merito” funzionale a mettere in competizione e in conflitto lavoratori e lavoratrici sottraendo loro parte del salario.

All'ombra del Recovery si sta consumando l'ennesimo compromesso ai danni delle classi subalterne, il finanzcapitalismo necessita di uno Stato che favorisca i propri affari in nome della ripartenza economica.

Questi nuovo compromesso sociale è destinato a fallire miseramente sotto i colpi inferti dalla caduta del saggio di profitto in nome del quale non esiteranno a ricorrere ai processi repressivi e a una sorta di nuovo pensiero unico a cui assoggettare le classi sociali subalterne.

Per questo occorre iniziare a impostare da subito la lotta su rivendicazioni semplici, immediate e condivise. Basta salari da fame! Occorrono certezze occupazionali e paghe che garantiscano una vita dignitosa. Serve un salario minimo orario, unito a garanzie e sussidi per chi si trova disoccupato. L’arricchimento dei paperoni del mondo durante la pandemia, per oltre 600 miliardi di dollari, dimostra che i soldi ci sono: basta avere la forza di andarli a prendere, tramite patrimoniale vincolate e alzando la tassazione su redditi e patrimoni dei miliardari. Non siamo tutti sulla stessa barca e i dati sulle disuguaglianze lo dimostrano.

Occorre poi liberare tempi di vita dal giogo del lavoro. Se le otto ore di lavoro per cinque giorni sembravano un limite da abbassare, oggi la situazione è ben peggiore. In campo operaio, impiegatizio e nel ramo della logistica, la attuali ore lavorate settimanalmente sono ben più alte delle quaranta ore stabilite dai Contratti nazionali del lavoro. La religione della prestazione, del lavoro continuo o a cottimo, in condizioni semifeudali, è ormai largamente egemone. Questa non è la vita che vogliamo! Non siamo bestie da soma.

Per non dover scegliere tra salute e lavoro, come nel caso di Taranto, è necessario che lavoratori e lavoratrici possano decidere insieme alla cittadinanza cosa produrre e in che modalità. La mercificazione di ogni aspetto della vita ci rende schiavi di una macchina infernale, che succhia ogni energia dalla nostra vita e ci trasforma in consumatori bulimici. È necessario produrre l’essenziale, accorciare le filiere e mettere al centro della produzione la qualità di vita di chi lavora.

Queste rivendicazioni mirano a scardinare l’assetto capitalistico vigente, che si basa su ipersfruttamento e ricerca del profitto ad ogni costo, umano e ambientale. Il Recovery fund è una toppa temporanea che non può guarire un sistema malato nelle sue stesse premesse.

Le attuali restrizioni lo dimostrano in modo chiaro. Nell’arco di un anno sono state cancellate conquiste sociali date per acquisite, facendoci ricadere in un regime patriarcale di sfruttamento: gli uomini devono produrre, mentre sulle donne ricade il peso della cura e della riproduzione sociale.

Come la catastrofe climatica dimostra, questo sistema non è più sostenibile! Dobbiamo organizzarci e lottare, tutti e tutte, per rivoluzionare l’attuale modo di produzione capitalista. Le resistenze di settori di lavoratori, i movimenti femministi, le lotte degli operai della logistica e nei territori ci insegnano come fare: se non ora quando?

Redazione Lotta Continua