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In morte di Silvio Berlusconi: note politiche a margine di uno spettacolo rivoltante.

La morte di Silvio Berlusconi ha messo a nudo l’ipocrisia di un ceto politico e di un’opinione pubblica cresciuti all’ombra dell’ominicchio di Arcore. Non stupisce l’immediata richiesta di beatificazione da parte della sua area politica, né quella da parte dei media e dai vari lustrascarpe del potere che esercitano la professione di “giornalisti”, né tanto meno la sua consacrazione come “grande imprenditore e uomo politico” da parte di coloro che avevano fatto dell’antiberlusconismo la loro ragione di vita, a partire dal partito democratico.

La sua figura ingombrante e pittoresca è stata il paravento ideale dietro cui la sinistra post-comunista, senza più una visione di classe né una idea di società alternativa, ha potuto nascondere la propria inconsistenza. Per venti anni lo hanno attaccato per lo stile volgare, per la visione medievale della donna e le prostitute, senza tuttavia scalfire la sua base di consenso. Hanno insistito sulle bandane, i trapianti di capelli, sulle cafonate che esibiva a ritmo quasi quotidiano. Hanno sperato che la magistratura facesse ancora una volta le veci della politica, sbagliando clamorosamente i calcoli perché Berlusconi e i suoi occupavano il governo e gestivano il Parlamento come dei pupari.

Tutto questo perché il programma politico di Forza Italia combaciava, nei suoi tratti essenziali, con quello del centro sinistra neoliberista: precarizzazione del mondo del lavoro, aumento dell’età pensionabile, criminalizzazione della povertà e del dissenso, gestione delle questioni sociali come problemi di ordine pubblico, privatizzazione dei servizi pubblici e dell’istruzione.

Ed infatti i provvedimenti dei governi Berlusconi e quelli di centrosinistra che gli si sono alternati sembravano scritti dalle stesse mani. Dal pacchetto Treu (centro sinistra), passando per la legge Biagi (Berlusconi), fino al Jobs Act (centro sinistra), il filo conduttore nei confronti del mondo del lavoro è sempre stato lo stesso: peggioramento delle condizioni di lavoro, abbassamento dei salari, precarizzazione a vita dei lavoratori. Paradossale la questione dell’art.18, cavallo di battaglia di Berlusconi ma eliminato dal governo Renzi senza colpo ferire.

Sul fronte delle migrazioni stessa corrispondenza d’amorosi sensi: dai Centri di Permanenza Temporanea, istituiti con le legge Turco-Napolitano, agli attuali Centri di identificazione ed Espulsione cambiano le sigle ma non la sostanza. Stesso discorso per gli accordi con la Libia, che forniscono armi e copertura ai lager in cui sono detenuti i migranti, rinnovati indifferentemente da centro sinistra e centro destra.

La scuola, dalla riforma Gelmini fino alla Buona Scuola di Renzi, è stata impoverita e aziendalizzata, mentre viene mandata avanti da decine di migliaia di precari ogni anno. E la lista potrebbe continuare.

La guerra di classe dall’alto, contro lavoratori, poveri, marginali, è stata condotta negli ultimi trenta anni sotto insegne diverse ma seguendo la stessa strategia. Berlusconi e l’antiberlusconismo sono stati un diversivo utile ai potentati economici e agli apparati statali per portare avanti i propri interessi e la propria agenda, mentre in tv e sui giornali si parlava di altro.

La nostra opposizione alla visione politica, sociale ed economica di Berlusconi, insieme a tanti altri compagni e compagne, è stata irriducibile e senza sconti, e può essere sintetizzata con le immagini di Roma del 15 ottobre 2011. Quindi chiudiamo con un vecchio adagio di Mao: “ci sono morti che pesano come una piuma, altri che pesano come una montagna”.

Il 12 giugno la morte si è presa una piuma che ha infestato la vita di questo paese per troppo tempo.

Lorenzo (Pisa)