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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

(K. Marx)

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Fare come in Francia.

periferie

Fare come in Francia

“Dovresti sapere quali sono le conseguenze del protestare a parole. Non ci frutta mai altre che sofferenze […]. Significa che, inconsciamente, ci si può ancora aspettare giustizia o umanità da luoghi che hanno dimostrato ampiamente come queste cose non esistano”

George Jackson, I fratelli di Soledad: lettere dal carcere

Da Parigi a Marsiglia, passando per Lione, Rennes e decine di altre città: la Francia è in fiamme.

La rivolta scoppiata dopo l’uccisione del diciassettenne Nahel a Nanterre, da parte di due agenti di polizia, non accenna a placarsi.  A sei giorni dall’ennesimo assassinio poliziesco le piazze di Oltralpe continuano ad essere caldissime, con commissariati e municipi date alle fiamme, negozi di lusso svaligiati, vetrine infrante e una rabbia nei confronti delle istituzioni che è esplosa in tutta la sua violenza. Le proteste hanno una chiara nota di classe, con giovani delle periferie, delle banlieu, sottoproletari e proletari che manifestano la loro irriducibilità ad un sistema istituzionale che li considera “feccia” (racaille), come disse Sarkozy a proposito delle rivolte del 2005.

La linea del colore gioca un ruolo fondamentale in Francia, in una società in cui il colore della pelle equivale ancora ad una cittadinanza di serie b. Tuttavia, le piazze francesi indicano anche una viscerale insofferenza per i simboli della ricchezza e per i luoghi di ritrovo delle elites, che, mentre ingrassano sulle spalle dei lavoratori, non perdono occasione per dare lezioni di civiltà e buone maniere a chi è ritenuto intrinsecamente inferiore.

La reazione scomposta di Macron e le migliaia di fermi di polizia di questi giorni indicano chiaramente che le possibilità di mediazione sono orami saltate, non a causa dei manifestanti ma per una precisa scelta dei centri di comando capitalista. Come successo in occasione degli scioperi di massa contro l’aumento dell’età pensionabile, il governo non presta orecchio alle piazze e va dritto per la sua strada. Ormai i “comitati esecutivi della borghesia” non rispondono più nemmeno formalmente ai propri cittadini, ma portano avanti agende contrattate con i grandi potentati economici e politici transazionali. Le classiche mediazioni socialdemocratiche non sono più possibili in questa fase storica, perché il potere non ha bisogno di legittimarsi agli occhi della popolazione.

In Francia hanno capito che un’epoca è finita e di conseguenza il popolo delle banlieu e le punte più avanzate del proletariato portano direttamente lo scontro sul piano della forza e della “guerra”. Chi crede di poter risolvere il razzismo istituzionale, la povertà dilagante, la precarietà e la disoccupazione con le solite meline istituzionali non ha capito che l’epoca del compromesso riformista è tramontata da un pezzo.

In Italia sembra invece che le uniche reazioni di fronte a queste non secondarie forme di insorgenza siano o il tifo da tastiera o una sdegnosa alzata di spalle di fronte a manifestazioni che non rispondono ai canoni di questa o quella congrega “rivoluzionaria”. Invece proprio questo è e sarà il carattere delle prossime “rivolte”: saranno spurie, esprimeranno rabbia e irriducibilità al comando capitalista e alle istituzioni, dandosi ora sul terreno del lavoro ora sul terreno della violenza poliziesca.

Da noi invece queste riflessioni sono relegate a una minoranza dello sparuto drappello della sinistra extra istituzionale. Si preferisce crogiolarsi nelle insorgenze con i permessi della questura, mentre anche qua forme di lotta aspra e frontale si danno di fronte ai cancelli di moltissime fabbriche, da Mondo Convenienza ai poli della logistica, passando per lotte territoriali come quelle No Tav e quelle contro nuove basi militari come quella di Coltano (Pisa).

Si tratta quindi di prendere atto che il piano della lotta è cambiato, che la punta più avanzata dell’attuale scontro ci classe è una forza lavoro in buona parte migrante, che non ha introiettato la logica della sconfitta ma che è pronta a lottare, a fianco di sindacati combattivi, e vincere.

Occorre partire da qui, dai cancelli delle fabbriche in lotta, sotto i colpi delle forze dell’ordine, perché le scorciatoie istituzionali conducono inevitabilmente alla sconfitta

 

Lorenzo

Redazione pisana Lotta Continua

 

 

Costretti a lavorare a 50 gradi. Lettera
La crisi è tutt’altro che superata.

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