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I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. Un libro di Aldo Cazzullo Recensione di Giuseppe Muraca.

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Recensione di Giuseppe Muraca

Arricchito da una nuova introduzione, l’editore Sperling & Kupfer ripubblica ad otto anni dall’edizione mondadoriana il libro di Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, Storia critica di Lotta continua. Si tratta di una scelta editoriale azzeccata perchè è un libro importante, scritto da un ottimo giornalista, animato dalla passione e dalla volontà di conoscere e di capire.

  Attraverso le testimonianze dei protagonisti, arricchite dalle riflessioni dell’autore, si cerca di scavare nelle vicende personali e in quella collettiva per seguire il filo di una storia attraverso le fasi più salienti di una stagione politica che tanti segni ha lasciato nella società italiana. Il 68 universitario, l’autunno caldo, Piazza Fontana, la strategia della tensione, il delitto Calabresi, le lotte per la casa, il terrorismo, il femminismo, la crisi della nuova sinistra e il movimento del ’77.

   E’ la stagione dei movimenti, attraversata da una nuova generazione politica di giovani, protagonista di lotte di massa che partendo dall’università hanno poi contagiato l’intera società. Una generazione che ha sognato di fare la rivoluzione, che ha impegnato e speso tutte le sue energie, con generosità ed entusiasmo, nel tentativo di cambiare il mondo, di costruire una società diversa a misura d’uomo, una società senza sfruttamento e senza disuguaglianze.

   Rivivono in queste pagine storie ormai lontane nel tempo, protagonisti, noti e meno noti, (alcuni dei quali scomparsi da tempo, magari morti nei duri scontri con le forze dell’ordine o uccisi per mano dei neofascisti e di componenti delle tante organizzazioni armate, pagando caro il prezzo delle loro scelte politiche) di un sogno collettivo durato più di un decennio (dal ’67 al ’78 del delitto Moro), illusioni, speranze e sconfitte di un’esperienza collettiva, quella della sinistra rivoluzionaria, che è iniziata alla luce di grandi certezze ma che si è via via impigliata nei suoi tanti errori, per poi fallire miseramente, con una sconfitta irreversibile e con tante ferite che bruciano ancora. Cazzullo è animato da un sentimento di viva partecipazione ma è tutt’altro che tenero con i protagonisti di quella storia.    

   Il libro si apre con la testimonianza di Adriano Sofri, che a partire dal cuore degli anni sessanta e dalla sua polemica del ’64 con il segretario del PCI Palmiro Togliatti all’Università di Pisa, è diventato uno dei leader indiscussi della nuova sinistra e il capo di Lotta continua.

   Negli anni sessanta il Potere diffondeva l’immagine di un mondo rassicurante dove il benessere sembrava alla portata di tutti. Ma i giovani del ’68 non la pensavano così. Davanti ai loro occhi vedevano invece un mondo diviso, un mondo senza domani, segnato da immani tragedie, da ingiustizie secolari, ingabbiato fra le burocrazie dei paesi dell’est e l’imperialismo americano. Un mondo in cui l’umanità veniva continuamente minacciata dal pericolo di uno sterminio totale. <<A guidare il nostro lavoro sta la percezione che la nostra potrebbe essere l’ultima generazione a fare esperimenti con la vita>>: queste parole contenute nel Manifesto di Port Huron erano diventate il manifesto di un’intera generazione di giovani. Ed ecco che era scattata la loro indignazione e la loro ribellione, in un quadro internazionale contrassegnato da eventi che hanno contribuito a cambiare la storia del mondo (la guerra del Vietnam, le lotte di liberazione dei paesi del terzo mondo, le lotte degli studenti e dei neri statunitensi, Mao e la rivoluzione culturale cinese, la morte di Che Guevara, il maggio francese e la primavera di Praga, ecc. ecc.).

   Lotta continua è stata senza dubbio l’organizzazione più movimentista, più innovativa, più radicale e più contraddittoria della sinistra extraparlamentare. Come ha scritto Guido Viale, <<Lotta continua non ha né ideologia, né teoria, né strutture organizzative, né disciplina di partito, né programma e risoluzioni. Vive innanzitutto come “stato d’animo” e come “pratica di lotta”>>. E Lotta continua, insieme agli altri partiti extraparlamentari, ha significato innanzitutto un nuovo modo di concepire la politica e di praticarla, di vivere la militanza. Non a caso essa nasceva dallo sforzo di superare le forme tradizionali, burocratiche delle organizzazioni politiche della sinistra storica. E non a caso la scelta di fondare un partito è arrivata soltanto nel 1972. Sofri fu il leader riconosciuto, affiancato da altri dirigenti come Guido Viale, Luigi Bobbio, Mauro Rostagno, Marco Boato, Lanfranco Bolis, Giorgio Pietrostefani, a cui si sono via via aggiunti altri protagonisti dei movimenti sociali di quel periodo.     

   La sigla <<Lotta continua>> è comparsa per la prima volta in alcuni volantini nel maggio del 1969, nel vivo delle lotte operaie alla Fiat che porteranno agli scontri di Corso Traiano, a Torino (3 luglio 1969) e all’autunno caldo, dall’incontro e dalla fusione di spezzoni importanti del movimento studentesco e di alcune avanguardie operaie protagoniste di quelle lotte. Il progetto nasceva dalla convinzione e dall’illusione ch’era in atto la possibilità e la prospettiva di una nuova rivoluzione mondiale.

   Con gli attentati del 1969 ed in particolare con la strage di Piazza Fontana è iniziato però un periodo molto oscuro, confuso e tormentato della storia del nostro paese, una fase storica e politica in parte nuova, in cui l’itinerario e l’attività dei partiti extraparlamentari si è trasformata in una continua corsa ad ostacoli; un periodo di durissima conflittualità politica e sociale e di contrapposizione frontale tra gli opposti estremismi che ha lasciato dietro di sé un lunga scia di violenza, di sangue, di attentati, di misteri, di ferite ancora aperte. E allora a questo punto viene da chiedersi: quale è stato in quel contesto il ruolo politico svolto da LC e dagli altri partiti extraparlamentari? E quali i loro limiti? A tanti anni di distanza bisogna ormai riconoscere che il loro maggiore limite è stato quello di non aver recepito pienamente le novità emerse nel corso della contestazione studentesca e operaia, di rimanere ingabbiati in vecchi modelli organizzativi e condizionati da ideologie e strategie rivoluzionarie astratte e superate da tempo. Ma al di là dei numerosi errori di valutazione, delle degenerazioni che hanno contraddistinto l’attività di quei gruppi, spesso in conflitto tra di loro, non c’è dubbio che nel corso degli anni settanta essi abbiano rappresentato un importante punto di riferimento e un momento di aggregazione per decine e decine di migliaia di giovani. E’ quindi ingiusto valutare in maniera totalmente negativa quella stagione attraversata da imponenti lotte di massa che come un terremoto hanno investito persino le cosiddette istituzioni totali (l’esercito, i manicomi, le carceri, polizia, magistratura, ecc.). E il ruolo di Lotta continua è stato spesso di primo piano, ha rappresentato non solo lo stimolo ma anche la principale sponda politica dei movimenti sociali radicali, anche a difesa delle istituzioni democratiche, contro gli sbandamenti a destra di tanti esponenti del regime democristiano e degli apparati statali.

   Il libro di Cazzullo aggiunge importanti tasselli alla storia della Nuova sinistra italiana, e in particolare di Lotta continua, ma lascia aperti tanti interrogativi e tanti nodi irrisolti. Gli errori e le degenerazioni vengono ora denunciati dagli stessi protagonisti di quelle vicende collettive, ma alla fine rimane la convinzione che quella storia resta in gran parte da scrivere, e non tanto quella dei leader e delle avanguardie dei vari partitini, quanto quella delle decine e decine di migliaia di militanti che con quelli hanno condiviso il sogno di dare un nuovo senso alla loro vita e un volto nuovo al nostro paese. 

   Lotta continua partito si è sciolta al Congresso di Rimini del 1976, che ha segnato la crisi irreversibile della nuova sinistra e di un progetto rivoluzionario, ma il libro di Cazzullo si conclude con la marcia dei 40.000 nel giugno 1980. Tra queste due date il movimento del ’77, ultimo fenomeno politico di protagonismo giovanile di massa di quella lontana stagione, l’ascesa del terrorismo, altre stragi e altri morti che hanno concluso tragicamente un periodo di grande partecipazione politica e civile e di profondi mutamenti sociali.

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