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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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La crisi che nessuno vuol vedere.

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Mentre si spendono fiumi d’inchiostro per il varo del nuovo governo, tra retroscena posticci e toto-poltrone, una nuova crisi economica si staglia sempre più nitida all’orizzonte. In Germania il Pil è sceso per il secondo trimestre consecutivo, certificando una recessione nell’aria sin dallo scorso anno. Le tensioni tra USA e Cina, il prossimo default dell’Argentina, l’ennesimo capitolo della saga Brexit non fanno che aumentare il rischio di una nuova recessione globale.

In questo quadro, l’Italia del 2019 non vivrà “un anno bellissimo” come preconizzato dal premier “buono per ogni stagione” Giuseppe Conte. A luglio, secondo i dati Istat, sono calati ordinativi e produzione industriale. Ad aumentare sono solo disoccupazione e numero di morti sul lavoro, a riprova di una crisi che non passa e che viene pagata, anche con la vita, sempre dagli stessi.

La stagione politica del “nuovo umanesimo” (Conte dixit) dovrà quindi fare i conti con una situazione economica internazionale in netto peggioramento. In particolare, l’Italia sconta più di altri la crisi del gigante tedesco. Il centro nord è direttamente integrato nella supply chain (catena di fornitura) della grande industria teutonica, dalla cui domanda dipendono ordini, fatturato e soprattutto posti di lavoro e salari. Uno starnuto a Berlino si tramuta in un uragano che dal Veneto è in grado di mettere in ginocchio buona parte della penisola.

Tale integrazione “subordinata” alle industrie germaniche ha fatto passi da gigante grazie anche alla pioggia di soldi pubblici distribuiti sotto l’ammiccante nome di Industria 4.0. Tali incentivi, tra cui il super ammortamento sull’acquisto di beni strumentale e iperammortamento sui beni digitali, sono stati pensati per garantire la transizione verso un’organizzazione produttiva flessibile e pronta a rispondere agli ordini e ai cambi di commessa da parte dei clienti, in maggioranza tedeschi, in tempo reale. Gli stessi fautori del sovranismo, una volta constatata l’impossibilità’ di ravvivare la moribonda domanda interna, hanno in buona parte rinnovato il pacchetto di incentivi 4.o al padronato, stringendo ulteriormente il cappio tedesco al proprio collo.

Insomma, questo il quadro che accompagnerà il nuovo governo nella realizzazione dei suoi mirabolanti punti programmatici: export in difficoltà, pochi soldi in cassa e un legalitarismo d’accatto come unico collante tra i due principali partiti di maggioranza.

Quel che è certo è che l’irrealizzabilità delle promesse programmatiche e l’aggravarsi della situazione economica causeranno una prolungata fase di instabilità istituzionale ed economica. Ed è proprio da queste contraddizioni, impossibili da raccogliere per gli attuali partiti dell’arco parlamentare, che può riaprirsi uno spiraglio di lotta. L’autunno contrapporrà alle consuete dosi di austerità, edulcorate da qualche provvedimento spot sull’immigrazione e contro la casta politica, i ragli furiosi della destra, pronta a incolpare migranti, élite finanziarie e buonisti vari per un paese quasi al collasso.

In questo campo sociale frastagliato e in costante riconfigurazione dobbiamo lavorare instancabilmente. Si tratta di riportare il conflitto nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di produzione e riproduzione del capitale. Solo in questo modo possiamo sopravvivere, mostrando che il capitalismo non è l’unico orizzonte economico e politico pensabile e possibile.

Lorenzo -- Redazione pisana Lotta Continua  

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