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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Il “socialismo” dei ricchi. Flat tax e lotta di classe.

uguaglianza

“Flat tax” è uno di quei termini che si è inserito con forza nel dibattito politico di questi ultimi mesi occupando spesso anche le prime pagine dei mezzi di comunicazione. Viene ripetuto come un mantra da Salvini con lo stesso spirito con cui si usa un’espressione magica e per indicare lo strumento salvifico in grado di “far ripartire” la disastrata economia italiana. Usato anche come una clava da agitare contro i poteri forti di Bruxelles, che in verità sono interessati unicamente ai nostri “conti” che in qualche modo devono tornare, cioè rispettare i “vincoli di bilancio”.

Come spesso succede l’utilizzo di termini inglesi, in voga da un po' di tempo, serve a nascondere una realtà che non si vuole far conoscere. Tradotto in italiano flat tax vuol dire tassa piatta, o meglio ancora aliquota unica che, presa alla lettera, significa che tutti pagano la stessa percentuale di imposta: classe media, ricchi, ricchissimi, poveri, poverissimi. Anche se non sarà realizzata in questi termini (il che sarebbe incostituzionale) si tratterà, nelle intenzioni del governo, di ridurre comunque in modo drastico le già ridotte differenze dell’ammontare dell’imposta da pagare per i diversi livelli di reddito. Una tendenza questa che procede oramai da 35 anni.

L’attuazione della flat tax è stata posta più volte da Salvini, dopo il suo successo alle elezioni europee, come la condizione per la prosecuzione della vita del governo gialloverde, non pochi osservatori ritengono che potrebbe essere la leva per far saltare il governo e andare alle elezioni anticipate. La macchina da guerra propagandistica di Salvini si è già messa in moto su questo terreno di grande impatto mediatico. Proporre la riduzione delle tasse per tutti, per quanto ingannevole e vedremo in seguito il perché, significa portare a casa un sicuro bottino di consensi.

L’aliquota unica è stato un cavallo di battaglia di Berlusconi che proponeva una tassazione del 15% per tutti. Il tema della riduzione delle tasse è un pilastro delle politiche economiche neoliberiste che si sono affermate a partire dai primi anni 80 con le politiche di Ronald Reagan.

La teoria dello sgocciolamento.

Come viene giustificata la necessità di ridurre le tasse, che incide specialmente a favore delle fasce più ricche della popolazione? Alla base troviamo la teoria dello sgocciolamento (il trickle down): se si fanno pagare meno tasse ai ricchi, questi investono i risparmi nelle attività economiche, creano occupazione e ricchezza per tutti, non solo per loro stessi. Insomma, secondo questa visione, la ricchezza accumulata in alto sgocciola verso il basso e ne beneficiano anche i ceti popolari. Una teoria che ha oramai 35-40 anni, che non ha trovato conferme né a livello teorico, né nella pratica quando è stata applicata. La politica economica di Ronald Reagan ha consentito una straordinaria accumulazione di capitale e al lato opposto di miseria. Lo sgocciolamento non avviene, al contrario la distribuzione del reddito diventa sempre più iniqua con ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Una tassazione come la flat tax avrebbe come unico risultato quello di permettere un ulteriore trasferimento di risorse economiche dal basso verso l’alto. Il contrario di quanto prevede la teoria dello sgocciolamento. Si finisce per drenare dalle classi più indigenti quelle poche risorse ancora a loro disposizione. Se c’è una riduzione del gettito fiscale, dove si prendono le risorse per sostenere la spesa corrente? Evidentemente dai servizi sociali, dagli ospedali, dagli asili, dalle scuole, ecc. Un progetto come quello della flat tax non potrà che andare a intaccare quel che resta dei servizi sociali, favorendo economicamente il nucleo sociale più solido che sostiene da decenni politicamente la Lega, cioè quei segmenti produttivi del lombardo veneto.

Il sogno leghista della flat tax, per il suo impatto sulla distribuzione del reddito, è un altro passaggio della lotta di classe dei ceti abbienti contro i già modesti redditi dei subalterni, sulla scia della perdita del potere d’acquisto del salario, dello smantellamento del sistema dei diritti usciti dalle lotte degli anni 70.

Qui di seguito sviluppiamo alcuni ragionamenti, ancora parziali, cercando di comprendere come nei provvedimenti in discussione sulla riforma della tassazione si nasconda un meccanismo economico che ha una chiara natura di classe. Cerchiamo anche, per quanto possibile, di non rendere troppo specialistico e pesante il ragionamento.

Un lungo percorso di ingiustizia fiscale.

Solamente nel 1974, con la riforma Visentini, con l’istituzione dell’Irpef (l’imposta sul reddito delle persone fisiche), entra in vigore un sistema di tassazione improntato alla progressività dell’imposizione fiscale come previsto dall’articolo 53 della Costituzione italiana. La riforma tributaria del governo Rumor è il prodotto di un contesto politico caratterizzato da un forte conflitto sociale. Pur nella sua impostazione riformista può considerarsi come il risultato di un clima generale che metteva al centro dell’agenda politica la necessità di ridurre le disuguaglianze sociali causate dal capitalismo.

La riforma del 74 introduce un sistema progressivo perché non solo prevede l’aumento dell’importo delle tasse in seguito all’aumento del reddito (aumento proporzionale), ma soprattutto perché si ha un innalzamento dovuto all’aliquota delle imposte da pagare. Più si è ricchi più cresce la quota parte di reddito da pagare.

Nel 1974 le aliquote di prelievo fiscale da pagare erano 32; la più bassa era pari al 10%, mentre quella massima era fissata al 72%. Già dalla metà degli anni 80 inizia un percorso, intrapreso sia da governi di centrodestra che di centrosinistra, indirizzato a ridurre anche drasticamente il carattere progressivo della tassazione diretta. Le aliquote si riducono da 32 alle attuali 5.

Non solo, dagli anni 80 ad oggi i ricchi hanno goduto di una costante riduzione delle tasse; la loro aliquota massima si è quasi dimezzata passando dal 72% al 43% odierno. Inoltre si è anche ampliata la platea, infatti oggi l’importo da cui si applica l’aliquota del 43% è pari a 75.000 euro. Questo significa che da questa cifra a salire è stata cancellata ogni progressività: un reddito di 75 mila euro è soggetto alla stessa aliquota di un reddito di 10 milioni, di un miliardo, ecc.

In basso, sul lato opposto, l’aliquota minima è al contrario cresciuta passando dal 10% all’attuale 23%. Negli ultimi 35 anni lavoratori dipendenti e pensionati si sono fatti carico di un maggior gettito fiscale complessivo. Il segno di classe di questa tendenza è evidente: accanto a salari che hanno perso potere d’acquisto, le tasse per le classi subalterne sono diventate più pesanti.

Senza entrare nel merito ricordiamo ancora che nell’ultimo ventennio si sono notevolmente ridotte le imposte per le società di capitale, mentre i redditi finanziari hanno una tassazione agevolata e non progressiva. In questi settori dell’economia, dove si macinano fatturati e utili milionari, si è già realizzata una ridistribuzione verso l’alto. Queste società, che hanno anche la possibilità di spostare le sedi fiscali nei paradisi fiscali, godono già di una vera e propria flat tax. Anche i profitti e gli interessi maturati con la speculazione sui titoli finanziari sono tassati con un’aliquota unica del 26%, a prescindere dall’importo. Per concludere, una consistente massa di redditi da capitale già oggi sfugge alla progressività delle imposte e viene tassata con un’aliquota agevolata.

Dalle imposte dirette alle imposte indirette.

La tendenza degli ultimi anni in Italia e in tutta Europa è quella di inasprire le imposte indirette a favore di quelle dirette. L’imposta diretta colpisce il reddito o il patrimonio del soggetto in questione, si basa sulla sua capacità di contribuire ai bisogni della collettività.

L’imposta indiretta grava sui consumi e riguarda soprattutto l’Iva, ma anche le accise (benzina, tabacchi). Chiunque acquisti un bene paga l’Iva sul prodotto che colpisce a pioggia l’intera platea dei contribuenti, ricchi e poveri. L’Iva è una flat tax, una tassa piatta, uguale per tutti i consumatori. A ben vedere però le imposte indirette colpiscono in maniera pesante i poveri, sottraendo loro una percentuale di reddito maggiore di quella dei ceti abbienti. Infatti chi vive in basso è costretto a spendere la quasi totalità del proprio reddito in consumi che soddisfino i suoi bisogni primari. Al contrario delle fasce più ricche che impegnano una quota minoritaria del loro reddito in consumi, risparmiando o investendo il resto.

In Italia l’aliquota percentuale dell’Iva, nel 1973 era pari al 12%, oggi ha raggiunto il 22% che riguarda la maggior parte dei beni di consumo. Nel luglio del 2011 il governo Berlusconi, per rispettare i vincoli di bilancio previsti dai trattati europei e rassicurare gli investitori, ha introdotto la “clausola di salvaguardia” che prevede un aumento automatico dell’Iva qualora il governo non riesca a reperire le risorse necessarie per finanziare la manovra finanziaria. Questa eredità si è trascinata fino ad oggi passando per i governi Monti, Renzi, Gentiloni e Conte. Infatti in autunno, quando verrà messa a punto la manovra finanziaria per il 2020, si dovranno trovare le risorse per disinnescare l’aumento dell’Iva al 24,5%, una pesante mannaia che può abbattersi sui consumatori economicamente più deboli.

Dai dati della Banca d’Italia si può riscontrare come il peso delle imposte dirette sia oggi simile a quello delle imposte indirette attestandosi entrambe sul 35% del totale, mentre i contributi sociali ammontano a circa il 30%. Qualora nella prossima manovra dovessero scattare aumenti dell’Iva (il ministro dell’economia Tria è da sempre favorevole a questa ipotesi) questa diventerebbe l’imposta principale. L’idea di spostare il peso dell’imposizione fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette è uno dei punti programmatici della visione liberista dell’economia di cui sono portatrici le élite dell’Unione Europea.

L’ideologia liberista sostiene infatti che tassare direttamente gli agenti economici ha l’effetto di incidere negativamente sugli investimenti. Non a caso i sostenitori dell’austerità liberista sono i più accaniti promotori di un travaso del gettito dall’imposta sul reddito a quella sui consumi.

L’alternativa fra aumento dell’Iva e taglio della spesa sociale ci verrà ripresentata in autunno quando si dovrà definire la prossima manovra finanziaria. Si discuterà dell’alternativa fra la padella e la brace: due misure inique che andranno a colpire tutti i settori del proletariato.

Governo del popolo?

La flat tax si inserisce perfettamente nella decennale erosione di quel contenuto di ridistribuzione del reddito introdotto nel 1974 all’interno del sistema fiscale, si andrà così a intaccare quel poco che sopravvive dei passati elementi di equità.

Dietro la demagogia di un messaggio politico semplice e appetibile, “meno tasse per tutti”, uno slogan di sicuro successo elettorale, si nasconde la riduzione del gettito fiscale con l’evidente proposito di picconare quel che rimane dello stato sociale, accrescere le privatizzazioni e incrementare la concentrazione dei redditi favorendo i ceti più ricchi. Il taglio della spesa pubblica viene proprio giustificato con la necessità di abbassare le tasse. Il cerchio si chiude in continuità con le politiche di austerità che hanno dominato la scena degli ultimi anni.

Inoltre la pur piccola riduzione delle tasse per i ceti medio-bassi sarà tutta da verificare, infatti bisognerà capire che ne sarà delle detrazioni fiscali (che interessano soprattutto i meno abbienti) che rischiano di essere eliminate. o quantomeno ridotte, per finanziare le riduzioni delle aliquote.

L’ideologia e le politiche anti-egualitarie, che si sono affermate oramai da decenni e che continuano a macinare vittime proletarie, sono armi di una lotta di classe che ha visto il capitale produttivo e finanziario affermarsi su scala globale. La flat tax è il perseguimento dell’obiettivo della disuguaglianza operato da un governo che si autorappresenta come antisistema e come “governo del popolo”.

“Non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali fra diseguali” potevamo leggere nella Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana

 Ellepigivi - Torino

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