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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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L’ideologia meritocratica. Intervista a Salvatore Cingari professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all'Università per Stranieri di Perugia.

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D: Se un giovane oggi dovesse rispondere a una domanda sulla meritocrazia direbbe che è giusto premiare i meritevoli. Tu cosa ne pensi, come risponderesti?

Sì sicuramente un giovane di oggi rimarrebbe spiazzato nel leggere la prefazione dell’edizione italiana di The rise of meritocracy del 1962 di Michael Young. Ad esempio, nella prefazione il sociologo “olivettiano” Cesare Mannucci definiva la “meritocrazia il contrario” della democrazia. Young raffigurava una società elitaria non su base censocratica o di lignaggio ma attraverso test di intelligenza che dividevano la popolazione tra una élite di dirigenti e una massa di soggetti subalterni, destinati ad essere comandati, dediti ai lavori manuali e domestici, rassegnati alla loro minorità per altro certificata dalla scienza psicometrica. Il racconto, di cui consigliamo la lettura, finisce con l ’insurrezione che vede uniti le donne dell’élite e i lavoratori assoggettati. Questa narrazione distopica insegna, infatti, a valorizzare i meriti differenti da quelli produttivisti, ad esempio le occupazioni legate ai lavori di cura che oggi, specie in epoca pandemica, scopriamo essere insostituibili: lavori soggetti ad una elevata presenza del nero, senza regolare contratto e con retribuzioni decisamente basse, senza diritti come la mutua o l'infortunio nel caso in cui non ci sia un regolare contratto.Young contestava il sistema scolastico inglese costruito sui test di intelligenza all'età di undici anni, che, a prescindere dal contesto sociale di partenza, decideva le scuole da frequentare determinando il futuro di intere generazioni. È bene ricordare che questa selezione avvenne con il sostegno anche dei laburisti che votarono, nel 1944, l’Education act. Ma non tutti i ragazzi messi davanti a un test hanno le medesime opportunità: molto dipende dalla estrazione sociale, dalle scuole fino ad allora frequentate

D: Non dimentichiamo la critica al produttivismo competitivo e dirigista della tarda età fordista al quale si ispiravano anche gli stessi laburisti.

L’uguaglianza di opportunità, di cui oggi tanto si parla, secondo Young, in realtà finiva per riprodurre la diseguaglianza, ecco perché partire da questo testo sarebbe di grande aiuto per confutare i luoghi comuni sulla meritocrazia

D: Poi è arrivato il '68, quali trasformazioni ci sono state?

Non solo il 68 ma tutta la stagione che arriva al 1977. La meritocrazia è stata un bersaglio polemico topico e in ogni ambito, dalla scuola al lavoro. La contestazione era rivolta all’idea di selettività che non tenesse conto degli ambienti sociali di provenienza, riproducendo così le vecchie gerarchie sociali. Poi ci sono gli aspetti più sindacali, ad esempio il rifiuto della retribuzione e del trattamento dei lavoratori sulla base di criteri discutibili e autoritari, decisi dai datori di lavoro. Per anni il concetto di meritocrazia ha avuto, a ragione, una accezione negativa perché avallava e legittimava le disuguaglianze sociali ed economiche. Ancora sul finire degli anni Novanta è arrivato Romano Prodi, anzi la sua introduzione alla versione italiana della Terza via di Anthony Giddens. Prodi scriveva, nel 1999, che il Welfare state andava riformato ma senza finire nella meritocrazia, essendo questa un’idea neoliberista. Lo stesso Giddens, era ancora perplesso sulla meritocrazia che tuttavia negli anni successivi sarebbe stato il faro guida anche del centro sinistra britannico.

D: E allora quando si consolida un’idea positiva di meritocrazia nel senso comune diffuso?

Innanzitutto va detto che il lemma viene assunto in positivo negli Stati Uniti subito dopo la pubblicazione del libro di Young. Il concetto di meritocrazia nasce con lo sviluppo dell'economia postindustriale con le competenze proiettate a dinamicizzare l’offerta piuttosto che, per dirla in termini keynesiani, la domanda: investire insomma sull’impresa e sulle eccellenze. La stessa narrazione che si imporra in Europa nel nuovo millennio, anche negli ambienti progressisti, a partire dalla svolta blairiana. Ma attenti che questa accezione positiva era pur sempre finalizzata a contenere l’egualitarismo. La meritocrazia non viene opposta al favoritismo o alle procedure di assegnazione del potere, ma piuttosto all’egualitarismo degli anni Sessanta.
Tramontate le idee di lotta di classe e di lotta allo sfruttamento capitalistico, viene messo in crisi anche il concetto di equa redistribuzione delle ricchezze, tutto parte dalla idea che lo stato sia sostanzialmente inefficiente, arriva la centralità del libero mercato e la giustizia sociale diventa un tabù.
La meritocrazia diventa l'apparato ideologico dell’ordoliberismo, l’ideologia di riferimento dell’Unione europea, che va a confliggere con i principi redistributivi del costituzionalismo democratico per affermare invece un nuovo modello antropologico aziendalistico, basato su flessibilità, adattabilità e competenze tecnologico-economiche. Il new public management, che colonizza tutte le istituzioni pubbliche, riproduce anche nella scuola, negli ospedali, nelle università, un clima “concorrenziale”, in cui i soggetti sono sottoposti a processi di qualità attraverso una continua valutazione volta a misurarne la performatività e accountability, sulla base di parametri modellati sulle esigenze produttivistiche e di profitto.
La meritocrazia diventa un mantra del discorso pubblico europeo, l’enfasi sul merito è legata all’idea neo-liberale secondo cui investire sui più ricchi premia tutta la società con il trikle down.

A cura della Redazione pisana di Lotta Continua

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