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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Appalti al ribasso in nome della ripartenza. E i sindacati?

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Ripristino dei licenziamenti collettivi, appalti al ribasso con l'aggiudicazione alla offerta più bassa, rimozione di ogni tetto al subappalto, sono queste le imminenti decisioni del Governo che dovranno essere messe nero su bianco nei prossimi giorni con il passaggio del Decreto Sostegni al Consiglio dei Ministri.

Can che abbaia non morde, sono trascorsi mesi nei quali i sindacati rappresentativi hanno sostenuto il Governo salvo poi scoprire la natura padronale dell'esecutivo Draghi. Pensavano di potere scendere a patti con un Governo che risponde direttamente alla Bce, hanno scambiato il Recovery con la riedizione dello stato sociale, la promessa di concertare politiche industriale con il controllo a fini sociali dell'economia. E' stata sufficiente la promessa del welfare aziendale con la cogestione di previdenza e sanità integrativa per revocare ogni forma di mobilitazione per il rinnovo dei contratti scaduti.

Una constatazione tardiva sulla reale natura del Governo o piuttosto l'ennesima sceneggiata per non perdere la faccia agli occhi dei lavoratori?

Ogni ipotesi di mediazione sembra al momento tramontata, era del resto noto da mesi che il Governo avrebbe accolto le richieste datoriali in merito al ripristino dei licenziamenti e a normative favorevoli in materia di appalti. Semplificare significa da sempre abbattere tutele collettive e individuali, semplificare norme negli appalti vuol dire cancellare ogni limite imposto al subappalto avvalendosi all'occorrenza di normative europee liberiste. E i subappalti da sempre sono funzionali alla riduzione dei costi della manodopera, aggiudicare una gara al minor offerente determina tagli occupazionali, alle ore contrattuali, ai contributi previdenziali, peggiorare insomma le condizioni di lavoro aggirando le normative in materia di salute e sicurezza.

Con la scusa di far ripartire i cantieri e l'economia si abbatteranno tutele individuali e collettive con una autentica deregulation dalla quale trarranno benefici solo i padroni.

E queste novità rappresentano solo l'antipasto visto che entro l'anno dovranno essere approvate le nuove normative in materia di appalti con la legge delega.

Solo due anni fa l'Ue tuonava contro l'Italia per il limite al 40% del subappalto mentre la stessa Corte di Giustizia europea nulla ebbe da dire rispetto alla aggiudicazione delle gare secondo il massimo ribasso in nome della offerta più vantaggiosa.

Si parla poi di innalzare da 75mila a 139mila euro la soglia per gli affidamenti diretti per lo più senza consultare più operatori economici per incarichi di progettazione e servizi di ingegneria.

Per raggiungere gli obiettivi del Pnrr servono norme snelle e funzionali ad accelerare le opere concordate con Bruxelles e dalla realizzazione dei quali, nei temi previsti, dipendono i prestiti europei. Per queste ragioni i cantieri devono partire senza troppi impedimenti, a farne le spese saranno non solo i lavoratori e le lavoratrici degli appalti ma anche le normative approvate per i dovuti controlli sulle gare all'insegna dei controlli anticorruzione. Gli affidamenti diretti in teoria dovrebbero rappresentare un ostacolo alla libera concorrenza ma i fautori del libero mercato sovente chiudono un occhio dimenticando i loro dogmi specie davanti a norme che riducono il costo del lavoro e liberalizzano il subappalto.

Si parla perfino di porre fine al potere di veto dei Comuni per le infrastrutture di Tlc.

Nei prossimi giorni capiremo meglio ma il dinamismo di Draghi ha già ricevuto il beneplacito dei Confindustria e delle associazioni datoriali e la benedizione, in nome della ripartenza, del Presidente Mattarella.

Il pranzo è servito ma a banchettare saranno gli appetiti imprenditoriali, di certo non i lavoratori 

E sul fronte dei licenziamenti l'auspicato allungamento del divieto tramonta definitivamente con il 1° luglio, il Governo se la cava promettendo incentivi, le ennesime, alle imprese, le piccole e medie imprese e i servizi potranno contare su qualche mese di Cassa integrazione finiti i quali avranno a loro volta piena libertà di licenziare.

Il Governo parla di compromesso accettabile ma si arrampica sugli specchi perché le imprese manifatturiere ed edili potranno attingere dalla cassa integrazione ordinaria senza pagare le addizionali, la cassa sarà l'alternativa ai licenziamenti almeno nel periodo coperto dagli ammortizzatori sociali.  Ma una azienda potrà rinunciare alla cassa per potere licenziare.

Insomma, il Governo regala ammortizzatori sociali gratuiti alle imprese pagati con i soldi dello Stato a condizione che non licenzino. Ma finiti gli ammortizzatori sociali cosa faranno? E molte aziende non troveranno conveniente tagliare la forza lavoro piuttosto che ricorrere agli ammortizzatori sociali? E alla fine di ottobre con la fine del licenziamento collettivo per i servizi cosa accadrà in questo settore particolarmente a rischio?

Gli incentivi anti licenziamento sono illusori, la scelta dirimente avrebbe dovuto essere quella di prevedere esplicitamente il divieto di licenziamento fino alla primavera del 2022. Lo Stato lascia campo libero ai padroni, liberi di attuare tagli ed esuberi e per incentivarli a non procedere con la macelleria sociale regaleranno loro ammortizzatori a costo zero. Ma una volta terminati gli ammortizzatori i licenziamenti arriveranno, in un caso e nell'altro saranno sempre e solo i padroni a decidere sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici. 

Redazione pisana di Lotta Continua – Da: http://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com

Cosa prendiamo e cosa diamo alla Ue?
Il Governo del massimo ribasso? Semplificare signi...

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